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Weekend: sesso, droga e tanto amore

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Ci sono voluti cinque anni perché Weekend di Andrew Haigh (2011) – una storia d’amore tra due uomini – arrivasse nelle sale italiane.

Questa “recensione” sarà più immediata e soggettiva del solito, perché il film rappresenta dinamiche relazionali di cui faccio esperienza diretta, e mi piace poterlo guardare dall’interno. Comincio però con un’opinione che spero sia tutt’altro che soggettiva: è completamente fuori da ogni ragionevolezza che, in uno stato laico, la Conferenza Episcopale Italiana possa limitare la distribuzione di film che sono già passati al vaglio del Ministero dei Beni Culturali, confinandoli – è il caso di Weekend a Roma – in una sola sala.

CEI a parte, la vista del sesso tra due uomini è ancora disturbante, mentre film come questo contribuiscono a diffondere un’immagine cruda ma naturale, come crudo e naturale è il sesso che facciamo tutti, del piacere omosessuale, spingendo lo spettatore a familiarizzare con la realtà piuttosto che ricorrere all’immaginario pornografico o macchiettistico. È vero, il sesso è una componente centrale della vita di un omosessuale maschio. È sempre lì, come un richiamo istintivo verso la giungla dei corpi. Che si tratti del cruising, di una discoteca o di Grindr, c’è sempre la possibilità di approdare in un luogo, reale o digitale, dove trovare in tempi brevi la soddisfazione dei propri impulsi.

Per esempio Russel, uno dei due protagonisti: all’inizio del film lo vediamo passare una serata in compagnia di amici eterosessuali, a casa del fratello adottivo che ha messo su famiglia. A differenza che sul posto di lavoro, dove Russel non è dichiarato, lì ci sono persone che lo conoscono e gli vogliono bene, cosa per nulla scontata in un contesto sociale come quello mostrato nel film, una grigia e deprimente periferia inglese dove l’omofobia è il pane quotidiano. Eppure Russel non è appagato, si annoia. Sa che la serata può prendere tutta un’altra piega se, anziché tornarsene a casa e dormirci su, si butta nella mischia di un club dove troverà alcol, droghe e, manco a dirlo, il solito sesso.

Tutto procede come da copione, non del film ma della routine gay, e Russel si porta a casa Glen. Solo che Russel è stato decisamente più fortunato della maggior parte di noi, e anziché ritrovarsi nel letto un soggetto improbabile, senza saperlo ha appena trovato l’amore. Glen è un aspirante artista con un’ottima intuizione: mettere al centro della sua ricerca la vita sessuale dei gay. Ha deciso di raccogliere le testimonianze dirette delle persone con cui va a letto, spingendole a confessare senza filtri i loro desideri reali, piuttosto che dare all’altro un’immagine artificiale di sé – cosa che, diciamolo, tra foto dei profili e sempreverdi insicurezze è sempre più facile fare. Si scopre così che è molto più semplice, ad esempio su una chat per incontri, dichiarare senza mezzi termini quello che si sta cercando e farselo dare alla svelta, piuttosto che investire del tempo nella conoscenza, anche sessuale, di se stessi e dell’altro. E questo atteggiamento bulimico nei confronti del sesso, se storicamente trova una spiegazione nell’esigenza degli omosessuali di rimanere nascosti allo sguardo giudicante della società, ora non ha più ragione di esistere, ma è parte del patrimonio ‘libertino’ della nostra comunità, e finisce per auto alimentarsi, limitandoci.

Russel e Glen non fanno soltanto sesso. Passano insieme il tempo di un weekend, un tempo troppo breve per farsi promesse ma non troppo breve per provare un sentimento che li porta a desiderare la presenza l’uno dell’altro, a fare le cose più semplici insieme, a scambiarsi visioni diverse del mondo: è quello che succede quando nasce un amore, e lo si vede accadere con grande naturalezza, senza stilemi romantici, e anzi condito da realistiche spolverate di cocaina, purtroppo nell’ambiente gira anche quella ma Russel e Glen non uccidono nessuno.

Cosa sarebbe accaduto se Glen non fosse partito per l’America grazie al paradossale tempismo della vita non lo sapremo mai. Mi piace pensare che l’incontro tra due persone possa essere comunque un grande regalo. E la scena più riuscita, in questo senso, è quella in cui Glen aiuta Russel a scavalcare il muro che gli impedisce di essere felice: ‘Fai finta che io sia tuo padre’ gli dice, e Russel gli confessa di essere gay. Russel non ha mai conosciuto i genitori. Il problema non è dirlo, ma a chi dirlo. In questo caso il bisogno identitario supera di gran lunga il coming out.