Il 10 dicembre 2000 a Udine inizia una breve tournée italiana di Ute Lemper che tocca Venezia, Bologna e Milano e che resta nella storia per una serie di interviste e dichiarazioni che all’epoca fanno scalpore.
Una donna impegnata
Le sue straordinarie qualità vocali sono note, così come la sua ecletticità artistica che le consente di passare con disinvoltura dal repertorio jazz e pop alle esibizioni con la London Symphony Orchestra. C’è, però, un lato di questa straordinaria artista da molti avvicinata a Marlene Dietrich che il pubblico italiano conosce poco. Ute Lemper non è soltanto una voce, ma una donna impegnata, capace di scelte provocatorie e coraggiose, soprattutto contro il pericolo del risorgente neonazismo nel suo paese d’origine e nel mondo. Non è un mistero che i tedeschi la ritengano un personaggio scomodo e imbarazzante, da applaudire, ma anche da temere. Nessuno è profeta in patria, tantomeno lei. I suoi connazionali si spellano le mani durante i concerti, ma non amano quella donna affascinante che mette il dito sulle piaghe della storia e sulle ingiustizie sociali. Lei, del resto, ha detto più volte di non riconoscersi in alcuna patria e a chi vorrebbe mummificarla nel ruolo del “nuovo Angelo Azzurro” risponde: «Non sono la nuova Lola e non mi sento tedesca». La sua patria è il mondo e l’arte è per lei un’esperienza globale aperta a molteplici interessi che vanno dalla danza alla pittura, dal giornalismo alla recitazione, spesso mescolati con l’impegno politico e sociale.
La malinconica nostalgia
La sua vita artistica è lo specchio di questa sua multiforme capacità di espressione dagli studi di canto dell’infanzia, quelli all’Accademia della Danza di Colonia e alla Scuola d’Arte Drammatica di Vienna, alle esibizioni nei piano-bar a quindici anni, all’esperienza punk con la Panama Drive Band ai musical e all’amore per Kurt Weill. L’amore per Weill nasce proprio dalla voglia di rompere con gli schemi classici del sentimentalismo romantico: «Le canzoni di Weill sono intrise di sehnsucht (malinconica nostalgia), ma in esse il romanticismo è continuamente rotto dall’aggressività e non diventa mai sentimentalismo…» E a chi le ricorda che questa è una peculiarità del popolo tedesco lei risponde che «questo stato d’animo non è solo dei tedeschi, lo si ritrova nei norvegesi, in Strindberg, come pure negli scrittori russi…»