Il Padiglione del Guatemala, alla 58° Esposizione Internazionale d’Arte, Biennale di Venezia 2019, si schiera contro la violenza sulle donne. E’ una mostra che fa riflettere su questo grave problema, diffuso non solo nello stato latino americano, ma purtroppo in tutti i Paesi del mondo. Il Titolo della mostra al Padiglione del Guatemala è Interesting state; è visibile nel Salone dei Concerti di Palazzo Albrizzi Capello, Cannaregio 4118 – Venezia, dall’11 maggio e fino al 24 novembre 2019. Curatore Stefania Pieralice, direzione del Ministro della Cultura Elder de Jesus Suchite Vargas.
A rappresentare questa condizione sociale della donna sono presenti due artisti: Elsie Wunderlich, originaria del Guatemala e portatrice di un messaggio tra sociologia ed ecologia – Marco Manzo, artista italiano, profondo conoscitore delle tradizioni e della cultura latino americana, ideatore ed autore dello stile Ornamentale nel tatuaggio artistico.
Motivo centrale di questo Padiglione, dal titolo Interesting state, è quindi l’analisi antropologica della donna, mentre il titolo gioca sul binomio “Stato interessante” ovvero l’espressione che in molte lingue, è riferito alla donna gestante. https://www.vogue.it/news/article/biennale-arte-2019-venezia-violenza-donne-padiglione-guatemala
In tal senso il Guatemala, per la sussistenza del fenomeno della violenza sulle donne (con ancora radici dalla storia coloniale del continente latino americano) nonostante la volontà governativa di risolverlo, presenta un elevato analfabetismo femminile, fonte quest’ultimo di ulteriori discriminazioni che vanno dalla vulnerabilità personale, all’emarginazione sociale, sino alla dipendenza economica delle donne da figure maschili. A questo si aggiunge la loro difficoltà di accedere ad un sistema giudiziale efficace e soprattutto la mancanza di una presa di coscienza collettiva del problema.
Così, in particolare, la scultrice Elsie Wunderlich si sofferma su quei segni, quelle cicatrici e mutilazioni del volto femminile, espressione di atti persecutori, di percosse e violenze domestiche. L’artista guatemalteca sacrifica la bellezza ideale in favore di un’estetica perturbata dalla violenza subita dal genere femminile nelle diverse parti del mondo. Racchiudendo nella materia scultorea l’annientamento e la subordinazione dell’identità della donna, la Wunderlich denuncia un assoggettamento fisico e psicologico, purtroppo, gravemente taciuto. Nelle opere si intrecciano due essenze, quella femminile e quella naturalistica, un binomio Donna-Natura che caratterizza l’intera serie scultorea, assurgendo a cifra stilistica qualificante. Il legame tra la Natura rigogliosa e selvaggia e la Donna, fragile ma al contempo piena di risorse, diviene inscindibile fusione, laddove tratti femminili vengono ad intrecciarsi con elementi naturali andando a ispirare maestose e commuoventi metamorfosi.
Marco Manzo invece, che ha portato alla Biennale Arte 2019 per la prima volta in assoluto e con autorevolezza, il tatuaggio come linguaggio artistico e dell’anima, lo drammatizza e lo distingue come un linguaggio della pelle delle donne o del culto della bellezza che si oppone a quei simboli machisti e mortiferi della cultura guatemalteca, incisi su braccia maschili aggressive e persecutorie, che fuoriescono da un monumentale muro di legno, a simboleggiare la spessa barriera dell’omertà, in un gioco di contrasto e resistenza tra la vittima e il carnefice.
L’installazione ambientale “El muro del silencio”, è composta da due distinte porzioni di muro, intitolate a loro volta “Tatuana” e “Salvarse el pellejo”. L’opera decisamente tragica, serba in realtà una interpretazione positiva poiché le mani femminili reagiscono agli atti violenti dimostrando una speculare opposizione alla forza fisica e psicologica. Sulla pelle delle donne si delineano infatti i motivi tipici dello stile “Ornamentale” – di cui l’artista è precursore – connotati da massima delicatezza e raffinatezza. Ecco allora apparire sugli arti femminili pizzo veneziano, macramè, dentelle, mandala e preziosi gioielli di epoca vittoriana, che adornano la donna coprendone le cicatrici fisiche e quelle dell’anima.
Le foto di questo articolo, si riferiscono alla performance dell’artista romano Marco Manzo all’interno del Padiglione Guatemala, da rimarcare che anche in tale importante occasione ha presentato il suo “Manifesto del tatuaggio orna/mentale” in cui emerge una visione sublimata della donna da parte dell’artista, in netto contrasto con una condizione che la vede così spesso vittima di soprusi e sopraffazioni, non solo nello stato latino americano. Così come nel pensiero dell’artista, anche nella cultura guatemalteca il tatuaggio equivale a libertà. Si pensi alla famosa “Leggenda della Tatuana” del Premio Nobel Miguel Angel Asturias, rappresentata da Manzo su due delle opere in mostra, che narra, nella parte finale, la fuga magica dei due personaggi, dalla cella dove erano prigionieri, proprio grazie al potere del tatuaggio.
Da sottolineare che il tatuaggio ornamentale di Manzo va oltre, nelle intenzioni e nelle rappresentazioni, al concetto di tatuaggio come sottomissione e sub/cultura.
E’ invece concettualmente il raggiungimento di una libertà di scelta culturale, nella direzione dell’integrazione dell’arte con il corpo, come ornamento ed esaltazione di un valore dell’esistenza come formazione intellettuale, prevalentemente opponendosi alla concezione della donna come oggetto e feticcio della società dei consumi, ma viceversa esaltandone l’esemplarità e l’identità.
L’antropologo Ugo Fabietti ha proposto il concetto di confine, poiché la storia dell’umanità sembra essere accompagnata da un continuo processo di costruzione di confini e del loro continuo sconfinamento, cioè uno studio delle modalità con le quali gli esseri umani costruiscono differenze individuali, pur volendo mantenersi in rapporto con la comunità. Ma cos’è la pelle se non un confine? Una protezione della nostra individualità psicofisica, ma contemporaneamente primo strumento e regione di scambio con gli altri, luogo di contatti fondamentali fin dai primi giorni di vita.
Ebbene, questo luogo di confine, ha accolto ed accoglie il linguaggio dell’arte come linguaggio antropologico, di identità, mentre l’artista tatuatore-catalizzatore è chiamato a rendersi responsabile ed interprete della spiritualità del corpo come sistema, non complice quindi dell’eventuale tentativo del soggetto di trattare il suo corpo come un’appendice da manipolare o un rivestimento passivo da maltrattare o da adeguare per una supposta mancanza. Per questo Marco Manzo chiama il suo stile Orna/mentale poiché guida il soggetto umano, attraverso un percorso di consapevolezza estetica, verso quello che lo stesso Yves Klein, precursore della Body Art, usava dire – “creare costantemente un solo unico capolavoro, se stesso”, mentre l’Alta Moda aveva già legittimato Marco Manzo come nuovo simbolo di eleganza e raffinatezza, in occasione della Tattoo d’Haute Couture andata in scena al MAXXI di Roma nel 2015.
Segnaliamo infine che questo Manifesto dello stile Orna/mentale, che vive su corpo e su scultura” (Effigi Edizioni, 2018), ha avuto in breve tempo importanti riconoscimenti che hanno contribuito, a livello di percezione sociale, a cambiare l’opinione del pubblico rispetto al tatuaggio, ora indicato come nuova espressione artistica. Questo Manifesto è stato presentato al Macro-Museo d’Arte Contemporanea Roma nel 2018; è stato il testo di introduzione della sua personale al Complesso del Vittoriano sempre nel 2018 mentre è entrato a far parte dei volumi presenti nella Biblioteca Nazionale di Roma ed in quella di Firenze. Ora anche al Senato della Repubblica dove recentemente (10 settembre 2019) Marco Manzo ha organizzato una tavola rotonda dal titolo “Nuovi autorevoli Linguaggi dell’arte contemporanea nel XXI secolo”, presso la Sala degli atti parlamentari Biblioteca “Giovanni Spadolini su iniziativa di Fondazione Charta.
https://abitarearoma.it/rassegna-darte-al-senato-della-repubblica/
Come si vede nella foto di Valter Sambucini – tra gli altri che si sono succeduti a parlare – da sinistra sul palco l’artista Marco Manzo, al tavolo – Daniele Radini Tedeschi e Stefania Pieralice, critici d’Arte e Curatori, attualmente presso il Padiglione Guatemala alla 58esima Biennale d’Arte di Venezia – Giorgio Di Genova, storico, scrittore e critico d’Arte, autore della “Storia dell’arte italiana del 900” e commissario in due edizioni precedenti della Biennale di Venezia; – infine Pietro Zocconali, Presidente Associazione Nazionale Sociologi, che tra l’altro, ha accennato all’ultima partecipazione di Marco Manzo al libro della sottoscritta, con un’intervista e la presenza di una sua opera sulla copertina del libro che tiene in mano (edito da Robin 2019) Città reali, città immaginarie.
Padiglione Guatemala – Interesting state, Salone dei Concerti di Palazzo Albrizzi Capello, Cannaregio 4118 – Venezia. Dall’11 maggio al 24 novembre 2019. Curatore Stefania Pieralice, direzione del Ministro della Cultura Elder de Jesus Suchite Vargas.