Dailygreen

Stan Kenton, l’uomo che sognava una grande orchestra

Il 25 agosto 1979 muore al Midway Hospital di Hollywood Stan Kenton, uno dei protagonisti di primo piano della storia del jazz orchestrale. Nato a Wichita, nel Kansas, si trasferisce poi con i genitori in un sobborgo di Los Angeles. Non sa ancora scrivere compiutamente il suo nome quando la madre inizia ad avviarlo ai segreti della tastiera di un pianoforte.

Una popolarità che anticipa i fenomeni del rock

La musica diventa ben presto il suo mondo. Non si accontenta del piano. Studia armonia e composizione e nel 1928 ha da poco compiuto i sedici anni quando scrive le partiture del suo primo arrangiamento. Una lunga gavetta in gruppi dell’hinterland losangelino precede il primo regolare contratto. Glielo propone Everett Hoagland che, nel 1934, lo scrittura come pianista e arrangiatore. Suona poi per un anno circa con Gus Arnheim e, in seguito, con Vido Musso e Johnny Davis, ma la sua idea fissa, il sogno della sua vita, è la costituzione di una grande orchestra. È talmente sicuro di farcela che dedica gran parte del suo tempo a preparare arrangiamenti destinati alla sua big band. Nel 1940 il sogno inizia ad avverarsi. La sua formazione non va oltre nove musicisti, ma è un primo passo. Ci riesce l’anno dopo quando chiama accanto a sé un nutrito gruppo di strumentisti che, pur non potendo contare su grandi nomi, riesce a conquistare larghe schiere di appassionati. Un paio d’anni dopo arriva anche il successo commerciale. La sua popolarità in qualche modo anticipa i fenomeni di partecipazione di massa che caratterizzeranno anni dopo il rock. È impressionante l’ondata di entusiasmo per quella che molti ritengono la più esaltante orchestra americana. È l’inizio di una straordinaria carriera scandita dalle collaborazioni con quasi tutti i grandi jazzisti del dopoguerra e di cui resta una traccia consistente in oltre cinquanta album. I

Un lavoro particolare

Il lavoro di Stan Kenton è particolare e unico. Si sperimenta nelle più diverse direzioni soprattutto affrontando materiale-folcloristico e tempi insoliti per il jazz. Il pubblico risponde sempre più favorevolmente, anche se i critici si dividono su due posizioni totalmente inconciliabili. Per alcuni Kenton è un innovatore dal carisma quasi messianico, per altri non è che un abile mestierante capace di vendersi bene. Questa divisione di opinioni contraddistinguerà tutta la carriera di Kenton. In realtà i detrattori hanno torto nel non vedere lo slancio innovativo dell’impostazione. Abilissimo negli arrangiamenti e nella direzione Stan Kenton tratta l’orchestra come fosse uno strumento, quasi annullando le individualità dei singoli strumentisti in una sorta di sintesi superioree. Proprio questa sua pretesa di sottomettere a un progetto corale le individualità, che qualcuno battezza “jazz sinfonico”, gli vale anche le maggiori critiche. Se da un lato gli si riconosce il merito di aver saputo superare la crisi delle big band, dall’altra lo si ritiene marginale nell’evoluzione del movimento jazzistico, basata innanzitutto sulla grande creatività dei singoli. Mentre la critica si accapiglia lui tira dritto per la sua strada fatta di arrangiamenti calibrati, di esecuzioni perfette e di particolarissime e riconoscibili sonorità orchestrali.

Exit mobile version