In occasione del quarantennale dalla scomparsa, numerosi sono stati i documentari, i servizi giornalistici e i libri dedicati alla vita e alle opere di Pier Paolo Pasolini. Ma sulla sua morte, sui moventi e sugli esecutori materiali dell’omicidio ci sono ancora tante zone d’ombre anche a così tanta distanza di tempo. Per chiarire gli aspetti ancora oscuri della tragica fine del grande intellettuale italiano, Daily Green ha intervistato Simona Zecchi, autrice del volume Pasolini, massacro di un poeta (Ponte alle Grazie editore, 2015), libro-inchiesta con ricerche, foto e documenti inediti.
Pasolini visto da Simona Zecchi
Simona, sono passati quarant’anni eppure sembra che la verità sulla morte di Pier Paolo Pasolini non sia ancora venuta pienamente a galla. È così?
Se stiamo parlando di verità giudiziaria è assolutamente così e temo che non sarà mai fatta completamente luce. La prova di tutto ciò è la volontà di aver archiviato l’indagine dopo cinque anni convogliando tutta l’attenzione dell’opinione pubblica soltanto sulle prove del DNA. Al contrario, se vediamo l’intera vicenda dal punto di vista della verità storica, direi che la dinamica della morte di uno dei più importanti intellettuali del ‘900 è ormai nota e sotto gli occhi di tutti. In particolare, nel mio libro ho cercato di portare un contributo nuovo, soprattutto sotto il versante criminale, investigativo e storico. Nel libro infatti, attraverso l’ausilio di nuove prove documentali e fotografiche, talvolta crude ma necessarie, dimostro come le cose siano effettivamente andate.
Nel tuo libro emerge una tesi forte: Pasolini è stato assassinato all’Idroscalo di Ostia da un gruppo di una dozzina di persone con chiari intenti omicidi e non, come si è sempre creduto, da Giuseppe Pelosi per motivi legati all’omosessualità. In particolare, Pasolini stava cercando di recuperare delle bobine del film Salò o le 120 giornate di Sodoma che gli erano state sottratte nell’estate del 1975 e, per questo, cadde in un vero e proprio tranello mortale. Fu davvero una “trappola e massacro” secondo uno schema preciso?
Andò esattamente in questa maniera. È da precisare che il furto delle bobine fu l’espediente e non il movente per attirare Pasolini all’Idroscalo. La storia delle bobine non costituisce un elemento nuovo in sé così come il fatto che Pelosi non fosse solo quella notte ma inediti sono alcuni suoi tratti fondamentali che hanno caratterizzato quelle dinamiche e che ricostruisco in modo appunto inedito; inedite inoltre sono soprattutto alcune vicende che precedettero quella notte e che la attraversarono. Il tutto ricompone un nuovo quadro criminale e storico. Vi furono infatti diversi livelli che operarono nello “schema perfetto” quella notte del 2 novembre 1975; personaggi accomunati dallo stesso obiettivo: assicurarsi che Pasolini non uscisse vivo da quello spiazzo di terra e sabbia. Parlo di differenti livelli, in quanto questo era il metodo seguito da alcuni settori dello Stato, ovvero la nostra intelligence. Chi era presente quella sera? C’erano sia elementi della bassa manovalanza criminale, come Pelosi e i fratelli Borsellino, un personaggio di raccordo tra tutti di cui ricostruisco il ruolo: Johnny Lo Zingaro (che non può essere etichettato semplicemente come facente parte della bassa criminalità) nonostante la giovane età; vi erano poi sia personaggi della criminalità organizzata, – ricordiamo che in quel periodo il clan dei Marsigliesi comandava le piazze di Roma e Milano – e non solo con i suoi traffici di droga e il suo legame con i potere occulti, che picchiatori neofascisti tra i quali, in quella congerie di elementi che hanno costituito il commando nero di cui parlo, soggetti provenienti da Catania, legati alla prostituzione maschile, i cosiddetti “marchettari” e le organizzazioni romane di estrema destra. L’ultimo livello, quello superiore, era infine legato ad alcuni apparati dello Stato: i servizi segreti.
Nel tuo libro, sottolinei il ruolo di diverse organizzazioni di estrema destra come Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo…
Le organizzazioni maggiori di matrice neofascista operanti in quel tempo erano, in particolare, Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo. Ma dalle vecchie carte giudiziarie riguardanti il caso emerge anche l’organizzazione Ordine Nero, altra sigla appartenente alla galassia della destra neofascista. La presenza di tutte queste formazioni non è legata solamente a motivi puramente ideologici, possiamo dire infatti (con il rischio di semplificare un po’, ma leggendo il libro emerge tutta la complessità di queste strutture) che queste erano sotto il controllo di alcuni settori dello Stato e, in alcuni casi come proprio per Ordine Nero, queste venivano debitamente create. E che queste galassie erano soltanto emanazioni in special modo di Ordine Nuovo. All’epoca dei fatti, i servizi segreti erano divisi in due strutture completamente autonome tra loro (non come oggi che i nostri servizi sono entrambi parte del Dipartimento di Informazioni per la Sicurezza, organo che le coordina) il SID e l’UAR. Queste due strutture erano spesso contrapposte tra loro per lotte intestine e competitività interna. Ma proprio in seno all’UAR e quindi al Viminale, viene patrocinata la formazione di Ordine Nero come si evince da un “appunto” interno al SID e, come accennavo, la creazione di questa sigla emerge dai documenti collegati al primo faldone del processo per la morte di Pier Paolo Pasolini nei confronti di Pino Pelosi. Nel variegato panorama della destra neofascista, accadono molti episodi significativi in questi anni. Su tutti ma non l’unica quando le due maggiori organizzazioni, Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo, tentano una sintesi ufficiale in una riunione tenutasi ad Albano Laziale nel settembre 1975, con la presenza del noto latitante Pierluigi Concutelli, non riuscendoci. Quello che mi preme sottolineare, è che la contrapposizione tra queste sigle è assolutamente falsa. Tutti costoro, Concutelli in primis, agivano consapevolmente su un piano ufficiale e un piano ufficioso c’era poi chi ovviamente aderiva a questi movimenti per puri motivi ideologici ed era all’oscuro di queste manovre. Tutte queste sigle hanno in comune il fatto di essere state strumentalizzate da questi settori dello Stato. Come peraltro è accaduto in maniera non così invasiva con le organizzazioni terroristiche di estrema sinistra.
La postfazione del libro è stata scritta del magistrato Otello Lupacchini che ha indagato a fondo sulla criminalità romana e sul ruolo della Banda della Magliana. Secondo il giudice, “di verità si può anche morire”. Ecco, al fondo, resta un dubbio importante. Pasolini era davvero un intellettuale scomodo? Dava così tanto fastidio il suo lavoro?
Pasolini era un personaggio che dava fastidio soprattutto al Potere inteso come un insieme di lobby economiche politiche, mafiose e massoniche. Come sappiamo bene, nel corso della sua vasta produzione intellettuale critica in prosa, in poesia e cinematografica, lo scrittore ha dedicato diversi contenuti riguardanti il Potere. Tra tutti spicca la serie degli articoli sul famoso processo alla DC che sono stati poi raccolti postumi nel 1976 in Lettere luterane. Pasolini rispose poi, come in un articolo non firmato della Stampa, gli chiedeva retoricamente “A che pro un processo?”, che il processo allo scudocrociato andava fatto perché la DC rappresentava quel Potere che, attraverso appunto anche altri poteri, imperversava in questo Paese e che rendeva impossibile la conoscenza della verità su diversi avvenimenti accaduti in quegli anni in Italia e quelli che sarebbero stati di là dall’accadere visto che la strategia della tensione era al suo apice.
Ricollegandomi poi a quello che scrive Lupacchini, vorrei indicare quest’analisi: un poeta come Pasolini viene ucciso “solo” per ciò che era già noto come le diverse controinchieste della stampa documentavano in quei giorni o perché avrebbe potuto pubblicare cose che avrebbero nuociuto in maniera dirompente al sistema di allora? Io ho maturato la convinzione, dopo aver svolto questa lunga indagine, che la seconda affermazione si avvicini di più alla verità.
Pier Paolo Pasolini ha subito un trattamento particolarmente duro da parte dell’intellighenzia di sinistra. E anche dopo la sua morte, questo ostracismo culturale non si è fermato. Perché?
Ho spiegato bene questo nell’epilogo del libro che il lettore andrà a leggere e posso dire, in estrema sintesi ma avvalorata da questa analisi, che il muro eretto da destra e sinistra negli anni nel campo culturale e giudiziario, non solo sul caso Pasolini, ma anche su altre vicende tragiche di questo paese ancora irrisolte, è stato tale da aver impedito la completa ricerca della verità.
Secondo l’ex Senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri c’è un sottile fil rouge che lega l’omicidio di Pier Paolo Pasolini alla morte del Presidente dell’ENI Enrico Mattei. È una fonte attendibile secondo te? E, nel caso, quale il nesso tra questi due fatti di sangue?
Secondo quanto da me ricostruito, Marcello Dell’Utri, anche dalle carte delle ultime indagini sulla morte dell’intellettuale che lo hanno coinvolto in veste di persona informata dei fatti, ha giocato a rialzo in quel frangente cercando di attirare su di sé l’attenzione per diversi motivi. Il 2 marzo 2010 l’ex Senatore di Forza Italia annunciò il ritrovamento di un documento inedito scritto da Pasolini riguardante l’Eni, Enrico Mattei ed Eugenio Cefis che sarebbe dovuto diventare parte integrante del romanzo incompiuto Petrolio. In realtà, l’uscita di Dell’Utri fu dovuta a pure esigenze pubblicitarie in quanto doveva presentare la mostra del Libro Antico e anche per ragioni di opportunità politica in quanto stava attendendo il verdetto per concorso esterno in associazione mafiosa. Molte infatti, come spiego in quelle pagine del libro, sono state le parti che riguardavano quell’intreccio non sottratte o perquisite e che invece sono potute uscire, seppur postume, nel libro Petrolio. Dell’Utri è una fonte attendibile per quello che scatena ma non certo per i contenuti che fornisce e, per quanto concerne il lavoro di indagine e ricerca da me svolto in merito, si potrà comprendere come tra l’omicidio di Enrico Mattei e la morte di Pier Paolo Pasolini non sussistano effettivi legami connettivi. Cefis in quel momento e anche durante la morte dell’ex ingegnere ha svolto certo un ruolo importante. Ma l’assassinio di Mattei può essere stato anche un grimaldello sul quale battere per poter distogliere tutta l’attenzione.
Nel settembre del 2015 alcuni Deputati hanno presentato una proposta di legge per l’istituzione di una Commissione Parlamentare d’inchiesta sull’omicidio di Pasolini. Si arriverà alla sua costituzione?
Bisogna vedere se vi si arriverà e, successivamente, chi la comporrà. È sicuramente un dato importante il fatto che circa sessanta parlamentari di SEL, PD, Alternativa Libera, Socialisti, Area Popolare e FI hanno sottoscritto questa proposta di legge. Certo, la Commissione parlamentare d’inchiesta potrebbe essere un ottimo strumento per chiarire definitivamente la vicenda della morte di Pasolini in quanto quest’organo ha anche poteri giudiziari e investigativi ma, al momento, siamo ancora in alto mare.
Congratulazioni vivissime all’autrice di questa intervista e, ovviamente, all’autrice del saggio sull’ancora misteriosa morte di Per Paolo Pasolini, coscienza critica dell’Italia della seconda metà del Millennio scorso. “Paolini, massacro di un poeta” è un libro che va letto subito. E grazie alla società editrice Ponte alle Grazie!