Nella notte tra il 15 e il 16 agosto 1977, a Memphis, nel Tennessee, Elvis Presley, si spegne per un attacco cardiaco sull’ambulanza che lo sta trasportando al Baptist Memorial Hospital di Memphis. Da mesi, forse da anni consumato dall’abuso di psicofarmaci, il suo cuore cessa per sempre di battere. I
Il mito prende il volo
l simbolo del rock and roll muore e nello stesso giorno prende il volo un mito destinato a continuare fino ai giorni nostri, pur se attraversato da più di una contraddizione. Per alcuni, infatti, Elvis è stato il protagonista indiscusso della prima, grande, ribellione giovanile, mentre altri lo ritengono l’inconsapevole eroe di un’operazione tendente a privare il rock & roll originario della sua carica eversiva. Alla seconda schiera appartengono i nuovi protagonisti neri della ribellione musicale, che lo considerano, senza mezzi termini, come un bamboccione bianco manovrato dal music business. È sufficiente dare uno sguardo alle scene che accompagnano il suo funerale per capire come fin dai primi giorni dopo la morte dell’eroe, il mito sia andato al di là del semplice fenomeno indotto. Fra i settantacinquemila e gli ottantamila sono, secondo la polizia i fans che al momento dell’addio definitivo circondano Graceland, la favolosa villa di Memphis nella quale il re del rock and roll ha vissuto fino agli ultimi giorni della sua vita in una situazione di alienante, pur se dorata, solitudine. E quella che accorre a dargli l’ultimo saluto è una folla disperata e piangente, non aliena da gesti di isteria, multietnica e colorata.
Un personaggio meno scontato di quel che sembra
I suoi fans travolgono le rassicuranti certezze del music business e trasformano Elvis nel simbolo che, probabilmente, non è mai stato e non ha mai voluto essere quando era in vita. Era però un personaggio meno scontato di quello che sembra. Resta folgorato dalla musica nera, dall’espressività corporale dei cori gospel e dalla vocalità graffiante dei dischi di rhythm and blues quando, ancora con i calzoni corti, canta nel coro della sua chiesa. Il tratto distintivo della sua ispirazione artistica non è artefatto, tutt’altro. Passeranno anni prima che il colonnello Tom Parker, suo pigmalione e despota, riesca a rendere innocua quella carica istintivamente eversiva. La storia in seguito diventerà quella che tutti conoscono, quella del ragazzone biondo in pace con se stesso e con il mondo che piace alle mamme, alle figlie e alle zie. Ogni disco venduto offusca l’immagine originaria, ma non la cancella. Paradossalmente è proprio la leggenda a ucciderlo. Incapace di vivere bene il declino, invece di seguire altri protagonisti del rock & roll sulla strada del ritorno alle origini, dà retta ai cattivi consiglieri e finisce per trasformarsi in un crooner adatto a tutte le stagioni. Cannibalizzato dal suo entourage si tramuta in una specie di zombie da richiamare in vita ogni volta che il mercato chiama e da lasciare annegare nelle sue contraddizioni interiori quando non serve. Così inizia la sua fine, non solo artistica, ma anche personale. Obeso e gonfiato da una lunga sequenza di veleni artificiali che lo aiutano a sopravvivere regala al pubblico una serie di apparizioni da incubo. La sua storia finisce male, ma chi l’ha sempre sfruttato continuerà a guadagnare sul mito.