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Se vuole la patente eviti la minigonna!

Una ragazza che guida può indossare la minigonna? La visione di un paio gambe, si sa, può turbare il sonno dei buoni padri di famiglia…. Che vergogna! Presidi, professori, parroci e genitori sono tutti d’accordo: quelle ragazze che masticano chewing gum e mostrano le gambe con disinvoltura sono la prova vivente della corruzione morale della società. Esplosa in Gran Bretagna nel 1964 la minigonna in Italia arriva un po’ più tardi e subito suscita sconquassi. Nel paese maschio per eccellenza la pelle delle gambe delle donne esposta agli sguardi di tutti assume il carattere di una provocazione e un’offesa ai costumi tradizionali, un evidente oltraggio alla morale e al buon senso.

Ragazze ribelli e divieti moralistici

Chi porta la minigonna non può entrare a scuola, negli uffici pubblici, in Chiesa, né partecipare a manifestazioni religiose o civili. Il luogo principale dove si scatena l’offensiva moralistica è la famiglia, da sempre considerata il principale tutore delle regole di civile convivenza e della moralità diffusa. Le minigonne costano schiaffi, urla e castighi, ma le ragazze italiane degli anni Sessanta non sono più succubi dell’autorità famigliare, anzi la mettono apertamente in discussione. Corte, sempre più corte, le minigonne non si limitano a scoprire le gambe, ma cambiano anche il modo di camminare, di sedersi, di stare con gli altri. Attorno a questo indumento cambiano anche gli altri accessori. Le ragazze le indossano con cinture alte o semplici ritagli di stoffa fascianti per evidenziare la vita e i fianchi. Le scarpe si arricchiscono di zeppe massicce, mentre scompaiono la sottoveste e i reggicalze. Un accessorio medicale, come i collant, ideato per contenere le gambe stanche e doloranti delle nonne, acquista nuovi colori, si fa leggerissimo e diventa una componente fondamentale del guardaroba delle nipotine. Anche gli stivali alti, spesso verniciati in bianco o in nero, diventano uno strumento di provocazione, un modo per far sembrare ancora più lunghe quelle gambe esposte alla vista. La rivoluzione non lascia intatto nessun santuario. Anche la biancheria intima si fa pratica e, in molti casi inutile. Il reggiseno diventa un fastidioso orpello e la sottoveste un reperto storico da lasciare alle madri e alle vecchie zie. Anche le lunghe sedute dal parrucchiere finiscono nel mirino. Basta con le fastidiose messe in piega, niente più boccoli, i capelli si portano lisci, lunghi sulle spalle oppure corti e a caschetto.

Un simbolo di liberazione

Contro il nuovo scandalo si mobilitano anche i giornali con campagne moralistiche e con analisi di presunti esperti che sostengono si tratti di una moda decisamente di cattivo gusto e destinata a non durare più di una stagione. I magazine giovanili replicano colpo su colpo e la società si spacca in due. Da un lato i severi censori e gli adulti ripropongono l’etica del sacrificio e della rassegnazione e dall’altra esplode la voglia di vivere e di cambiare regole che sembrano ormai insopportabili. Con la minigonna, ma non solo con quella, le ragazze italiane rivendicano la propria identità e fanno capire che l’adolescenza non può essere più considerata soltanto un fastidioso e inutile periodo di passaggio, quasi un limbo in attesa di diventare adulti. Quei pochi centimetri quadrati di stoffa diventano così un simbolo di liberazione.

 

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