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Salpa il Kon-Tiki

Il 27 aprile 1947 salpa il Kon-Tiki. Che cos’è? Forse è necessario fare un piccolo salto indietro «Tiki era un dio e un capo. Fu Tiki a portare i miei avi sue queste isole su cui noi ora viviamo. Prima vivevamo in una grande terra, lontana, al di là del mare». Appena l’aveva ascoltata, quella storia gli era entrata nel cuore. Lo studioso norvegese Thor Heyerdahl era a Fatu-Hiva, un’isola dell’arcipelago delle Marchesi, piccolo paradiso coperto di lussureggiante vegetazione, dove si era stabilito neo 1936 con la giovane moglie Liv per studiare la flora e la fauna di quelle sperdute isole del Pacifico.

Sei uomini e un pappagallo

Adottati dal capo polinesiano Teriieroo Heyerdahl e sua moglia vengono affascinati dai costumi e credenze delle popolazioni isolane. La leggenda di Kon-Tiki (“Figlio del sole”), raccontata dal vecchio Tei Tetua, gli regala un sogno, un’idea bislacca. E se le prime popolazioni delle isole non fossero giunte dall’Asia? E se la migrazione verso la Polinesia si fosse affidata ai venti e alle correnti provenienti dal continente americano? Quel vecchio incanutito nelle dolci serate davanti alla capanna gli aveva parlato spesso della leggenda di Tiki, un dio fuggito con una zattera dalle coste del Perù per raggiungere le isole del Pacifico. La stessa storia gli avevano ripetuto, praticamente identica, alcuni abitanti delle Tuamotu. Thor Heyerdahl comincia a elaborare il progetto: con una fragile imbarcazione identica a quella usata dal dio di balsa ripeterà l’incredibile viaggio di Kon Tiki ricostruendo il più fedelmente possibile l’imbarcazione usata dal dio. Per l’equipaggio recluta cinque amici che si fidano ciecamente dei suoi sogni: Torstein Raaby, Hermann Watzinger, Bengt Danielsson, Knut M. Haugland e Erik Hesselberg. Taglia il legno di balsa necessario alla costruzione della zattera nella foresta equatoriale equadoregna, e lo trasporta fino alla costa con un complicato viaggio via fiume. Quando il 27 aprile 1947 il Kon-Tiki salpa dal porto di Callao ha a bordo sei uomini e un pappagallo. È una perfetta copia delle antiche zattere peruviane senza nessuna concessione alle moderne conoscenze di costruzioni navali e sulla grande vela ha impressa la figura del dio navigatore. 8000 chilometri di oceano lo dividono dalle splendide spiagge delle isole polinesiane. Una distanza ritenuta impossibile dallo scetticismo del mondo accademico che considera questa dimostrazione un sicuro e inutile fallimento.

Il dio navigatore torna a casa

Dopo le prime settimane passate a navigare sulle ali della corrente di Humboldt, anche le più pessimistiche previsioni sulla tenuta della zattera lasciano il posto a un ottimismo temperato. Heyerdahl e i suoi compagni si rilassano e cominciano a osservare un mondo marino inaspettato e ricco di meraviglie per la ricchezza e il comportamento degli abitanti dell’oceano. I giorni, scanditi dalla pesca, da misurazioni e osservazioni scientifiche, dalla costante manutenzione e dalla lettura (Bengt Danielsson ha portato a bordo ben settantatre volumi di sociologia e etnologia). Non mancano momenti drammatici nei quali l’oceano mostra il suo volto terribile rovesciandosi sul piccolo guscio di balsa con rumore assordante di tuono e rischiando di trascinare con sé il timoniere. Il Kon-Tiki trema, si scuote, vacilla ma non cede. Asseconda la forza delle onde lasciandole sfogare fragorosamente sui tronchi di balsa. Qualche emozione suscitano anche alcune preoccupanti visite di squali curiosi. Il 30 luglio i sei navigatori avvistano l’isola di Puka Puka, nell’arcipelago delle Tuamotu ma non riescono ad approdare per difficoltà di manovra. Solo dopo un’altra settimana passata nel timore di vagare per sempre nell’oceano senza incrociare nuove isole, il Kon-Tiki si arena sulla barriera corallina dell’atollo di Raroia. Dopo centoundici giorni di viaggio e quattromilatrecento miglia nautiche il dio navigatore è tornato a casa.

 

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