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Renata Rampazzi, Cruor la scia del sangue

Renata Rampazzi_CRUOR, 2018 – Istallazione - "garze" dipinte con materiali naturali, combinazioni manuali di pigmenti e terre, dimensioni variabili, m 4x2 circa

Il 17 settembre 2020 apre al pubblico al Museo Carlo Bilotti, Aranciera di Villa Borghese a Roma la mostra CRUOR di Renata Rampazzi, a cura di Claudio Strinati. La mostra resterà aperta fino al 10 gennaio 2021.

Il tema, sul quale si esprime la poetica di Renata Rampazzi, è la violenza sulle donne, ritornata purtroppo in cronaca giornaliera. Le opere in mostra coprono in particolare l’arco temporale dal 1977 al 2020 e si declinano in Composizioni, Ferite, Sospensioni Rosse, Lacerazioni, sino ad arrivare all’installazione Cruor del 2018, realizzata con la collaborazione della scenografa Leila Fteita, esposta per la prima volta nella sede della Fondazione Cini di Venezia. E’ composta da una quarantina di garze di 5 metri di altezza, che compongono una variazione di rossi tenui e trasparenti, con riferimento ai bendaggi delle ferite, come lavati e appesi ad asciugare, che circondano il visitatore come dentro un bozzolo che via via incupisce il suo spessore coloristico, avvolgendolo in un totale coinvolgimento fisico ed emozionale. La stessa autrice descrive a chiare lettere (in catalogo) il suo intento nel costruire l’opera, i cui punti centrali sono costituiti da parti interdipendenti di un complesso più ampio. Organi vitali di un corpo più articolato, non solo in dialogo tra loro per essere una galleria di esempi, una specie di Antologia di Spoon River dei femminicidi avvenuti, ma formanti un “insieme”, un’istallazione omogenea e complessa. Inoltre la componente principale per lei, doveva essere la luce, da qui la scelta di materiali e colori, garze e – terre diluite col siero organico, per riferirmi non solo più al gesto artistico, ma al richiamo degli umori dei corpi –

Cruor Locandina

La bellezza dell’opera però non scaturisce dall’osservazione compiaciuta del male, ma invita a procedere oltre, in un percorso spirituale ed iniziatico, catartico di condivisione del dolore e della sofferenza delle vittime, un lavacro che vuole simbolizzare quello che resta dopo una vera guerra alle donne, dopo gli stupri etnici, il turismo sessuale, le mutilazioni genitali, la prostituzione infantile, la violenza domestica, la scia del sangue delle vittime occultate nelle discariche o bruciate, per non aver ceduto al ricatto sentimentale, per aver reagito alla brutalità, per la propria stessa diversità … Ma come scrive il curatore Claudio Strinati, essere la funzione stessa dell’arte quella di tradurre e simbolizzare, nel linguaggio visivo, ogni moto dell’anima:

L’arte di Renata Rampazzi ha sempre avuto questa peculiarità. E’ proprio arte di essenza, che onora l’idea antichissima del colpo d’occhio quale metafora della pittura in sé o per meglio dire dell’arte figurativa in sé. L’arte colpisce, pensavano i grandi teorici del Seicento che hanno dato vita alla critica d’arte moderna, e suo simbolo supremo è quello della freccia scagliata a prendere in pieno il bersaglio, metafora, nel contempo, della disposizione amorosa nella freccia scoccata da Cupido. E’ efficace monito della fratellanza tra la disposizione amorosa e quella artistica, essendo l’opera d’arte sempre e comunque generata da un atto d’ amore verso l’argomento stesso che l’artista voglia trattare. E il caso di Renata Rampazzi è esemplare in tal senso. Tutta la sua arte è mossa da un impulso amoroso che può diventare, in questo caso, una sorta di opposto da sé, l’impulso, cioè, alla indignazione, al dolore, alla denuncia.-

Sospensione Rossa 2011_olio su tela cm 180×120

Il testo in catalogo di Maria Vittoria Marini Clarelli, invece introduce al significato del titolo ed alla circostanza a cui si riferisce, non dimenticando i numeri della violenza infitta alle donne secondo i dati ISTAT e sottolineando quella notizia, che mai avremmo voluto sapere, cioè che durante il lock-down a causa della pandemia da Covid-19, le chiamate ai centri antiviolenza sono cresciute del 73%, sottolineando ancora una vota che la violenza si esercita soprattutto in famiglia. Donne intrappolate tra l’umiliazione e la coercizione, ancora alla ricerca di una identità che non passi necessariamente dal proprio corpo, storicamente eletto ad essere il tessuto connettivo dell’intera società al quale è delegata la cura, la protezione, la riproduzione, la sottomissione, non lasciando niente alla cultura, che ci ha fatto perdere eccellenti intelligenze:

Il latino classico distingue fra il sangue della vita e quello della morte, fra il liquido che scorre nel corpo umano e quello che sgorga dalle ferite. L’uno è chiamato sanguis, l’altro cruor. È quest’ultimo il titolo scelto da Renata Rampazzi per la sua installazione dedicata alla violenza sulle donne: tanto più appropriato se si considera che, nella cultura romana, il termine cruor definiva anche il sangue mestruale, quello della deflorazione e quello del parto. Anche in vita la sorte femminile è più cruenta. È nel sangue che si diventa donna, moglie, madre. Ma è soprattutto nel contesto maschile che la repulsione o l’attrazione per il cruor segnano la distinzione fra umanità e bestialità. –

Movimento cromatico, 2005_olio su tela, cm100x150

Infine Dacia Maraini, che non ha bisogno di presentazioni, così si esprime:

Nel corso della mostra è prevista una tavola rotonda che affronterà da diversi punti di vista ed esperienze il tema della violenza nei confronti delle donne. A confrontarsi su questo argomento saranno Dacia Maraini, scrittrice, Luciana Castellina, politica, Chiara Valentini, giornalista e saggista, Margarethe Von Trotta, regista, Francesca Medioli, storica, Massimo Ammanniti, psicanalista, e la stessa Renata Rampazzi. La mostra è accompagnata da un catalogo (Edizioni Sabinae, bilingue italiano, inglese) con testi di Dacia Maraini, Maria Vittoria Marini Clarelli, Claudio Strinati ed una testimonianza dell’artista. Parte del ricavato delle vendite del catalogo sarà devoluto all’Associazione Differenza Donna. La mostra è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali ed è organizzata da Renata Rampazzi e dal suo studio. L’iniziativa fa parte di Romarama, il programma di eventi culturali di Roma Capitale. Servizi museali a cura di Zètema Progetto Cultura. Catalogo Edizioni Sabinae.

Renata Rampazzi ritratto

Renata Rampazzi nasce a Torino da una famiglia di origine italo-francese. Diplomatasi al Liceo artistico completa gli studi presso la Facoltà di Architettura. A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, partecipa alla vita culturale della città, frequentandone i protagonisti come Umberto Mastroianni, Antonio Carena, Adriano Parisot, Piero Ruggeri oltre a Marcello Levi, Paolo Fossati, Luigi Carluccio. I quadri di questi anni risentono ancora di una lontana ispirazione figurativa. Per approfondire ulteriormente la sua ricerca alla metà degli anni Sessanta lavora all’Accademia di Salisburgo, con Emilio Vedova, avvicinandosi all’espressionismo astratto, poi con l’artista franco-cinese Zao-Wou-Ki. Del 1973 è la prima importante personale alla Galleria dello Scudo di Verona. Nel 1977 alla Galleria Vismara Arte Contemporanea di Milano per la prima volta Renata Rampazzi espone delle opere profondamente sofferte e percorse da larghe ferite, dalla marcata gestualità espressionista. Alla fine degli anni Settanta si trasferisce col regista Giorgio Treves a Roma. Le sue opere diventano soprattutto di grande formato e la pennellata si fa più distesa e ricca di trasparenze e cromatismi. Sono di questi anni i suoi primi lavori su carta con le tecniche della gouache e dei pastelli grassi. Entra in contatto con l’ambiente del cinema. Per Gruppo di famiglia in un interno, Luchino Visconti le chiede alcune tele dai toni blu e viola, che il grande regista chiama mannianamente “le mie montagne incantate”. Margarethe von Trotta diventa una tra i suoi più fedeli collezionisti e diversi suoi quadri sono inseriti nelle scenografie di L’Africana e Il lungo silenzio. In questi anni collabora con vari architetti e arredatori tra cui Marika Carniti Bollea per la quale dipinge un tulle di 80 metri. Nel 1984 le viene dedicata una personale al Palazzo dei Diamanti di Ferrara.  Nel 1989 espone al Petit Palais d’Art Moderne di Ginevra. Dopo un periodo segnato da problemi di salute, la sua pittura si sviluppa soprattutto attorno a composizioni plurime e a quadri di piccolo formato. Nel 2006 le viene dedicata una grande antologica all’Archivio di Stato di Torino. Nel 2010 una personale curata da Vittorio Sgarbi all’ex Convento di San Nicolò in occasione del Festival dei Due Mondi di Spoleto. Nel 2011 espone con la Galleria Marino ad Artparis 2011 al Grand Palais di Parigi ed è invitata alla 54. Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, a Palazzo Venezia, Roma. Del 2013 è la personale all’Espace Culturel di Le Lavandou a cura di Olivier Kaeppelin, Direttore della Fondation Maeght. Nel 2017 espone a Setteartistiunamostra presso la Galleria del Cortile a Roma e, nel 2018, è ospitata presso la Fondazione Giorgio Cini, nell’Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia, dove presenta l’installazione CRUOR. Sangue sparso di donne. A fine settembre espone SCINTILLE presso la Galleria Borghini Arte Contemporanea di Roma.

INFO – Museo Carlo Bilotti, Aranciera di Villa Borghese, viale Fiorello La Guardia, 6. – Apertura al pubblico – 17 settembre 2020 – 10 gennaio 2021. Orari settembre: da martedì a venerdì e festivi ore 13.00 – 19.00. Sabato e domenica ore 10.00 – 19.00. Orari ottobre/gennaio: da martedì a venerdì e festivi ore 10.00 – 16.00; sabato e domenica ore 10.00 – 19.00.

Info Mostra Info 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 19.00) www.museocarlobilotti.itwww.museiincomune.it – Ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria e gratuita 060608 online da casa. Sono attivate le misure precauzionali anticovid19 e nel museo è obbligatorio indossare la mascherina.

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