Andrea Merusi è un giovane biologo di 32 anni. Lavora nell’ufficio ambiente e sicurezza di un’azienda di Parma. Da sempre è attento alle tematiche ambientali, non soltanto per ragioni professionali. E’ molto attivista sul versante green ed è specializzato in ecologia. Nel gennaio di quest’anno è uscito un suo libro, edito da Infinito edizioni dal titolo “La sfida di oggi”, un volume di divulgazione scientifica che tratta il tema del cambiamento climatico dal punto di vista delle cause e degli effetti sociali.
Si avvicina il referendum sulle trivelle del 17 aprile. Chiediamo ad Andrea Merusi come la pensa.
Dottor Merusi, il prossimo 17 aprile gli italiani andranno alle urne per scegliere se cancellare, o meno, l’articolo del codice dell’ambiente che consente le trivellazioni petrolifere nei mari italiani fino a quando il giacimento è in vita. Il quesito riguarda solo le operazioni entro le 12 miglia marine dalla costa. Non quelle sulla terraferma o in mare ad una distanza superiore. Le voterà sì o no?
Voterò sì.
Perché?
Sostanzialmente perché il quesito riguarda il prolungamento delle concessioni attualmente in vigore che però scadrebbero fra qualche anno. Con la legge di stabilità varata dal governo si è data la possibilità di rinnovare queste concessioni a tempo indeterminato finché i giacimenti non si esauriscono. Non sono d’accordo con questa posizione perché contrasta enormemente con quanto stabilito dai paesi che hanno firmato l’accordo della Cop 21. Abbiamo firmato l’impegno per ridurre i consumi energetici derivanti da petrolio e carbone. E poi che succede? Alla prima occasione diamo dimostrazione dell’esatto opposto ritornando ad utilizzare senza limiti i combustibili fossili anziché le fonti rinnovabili?
Dodici miglia dalla costa non sono un po’ troppo poche per permettere alle compagnie petrolifere di installare le proprie piattaforme estrattive?
Mi risulta, va precisato, che fare nuove trivellazioni entro le 12 miglia dalla costa è già vietato per legge in Italia dal decreto legislativo 152/06, vale a dire il Testo Unico in materia ambientale.
Con il decreto “Sblocca Italia” si è voluto rinnovare le concessioni delle trivelle già in essere a tempo indeterminato, cioè fino a che non si esaurisce il gas/petrolio attualmente prelevato. Il referendum vuole abrogare questo punto ristabilendo il termine delle concessioni come previsto dallo stesso decreto 152/06.
Il voto referendario non toccherà le trivellazioni sulla terraferma e quelle condotte in mare oltre le 12 miglia dalla costa. Ma perché si continua ancora a trivellare per cercare petrolio, nonostante gli impegni sottoscritti da tutti i paesi alla conferenza di Parigi sul clima?
Perché ci sono degli interessi economici ancora molto forti sulle fonti tradizionali come petrolio, gas e carbone. Mentre per quanto riguarda le fonti rinnovabili negli ultimi anni stiamo assistendo ad una frenata.
Lei è un biologo. Sappiamo che nei fondali di alcune aree sottomarine italiane è depositato del petrolio (vedi il disastro del Moby Prince del 1991 che causò la fuoriuscita in mare, al largo del porto di Livorno, di diverse tonnellate di petrolio). Cosa succederebbe alla fauna marina se venisse accidentalmente invasa da questo idrocarburo altamente inquinante?
Probabilmente i danni ambientali sarebbero incalcolabili. Ci sarebbe una distruzione degli ecosistemi e degli habitat marini per una superficie molto significativa. Non pochi metri ma probabilmente chilometri di superficie. Per quanto riguarda la fauna marina si andrebbe incontro alla morte di molti organismi e microrganismi che compongono l’ecosistema. Il petrolio, non va dimenticato, è un inquinante altamente tossico.
Lei è d’accordo nel ritenere che il futuro sia nelle fonti rinnovabili?
Sono assolutamente d’accordo che il futuro sia quello delle fonti rinnovabili. Abbinato, secondo me, ad una forte incentivazione dell’efficientamento energetico degli edifici. Quindi non solo fonti rinnovabili, ma anche ristrutturazione degli edifici presenti in modo che siano altamente sostenibili ed efficienti da un punto di vista energetico. La combinazione di questi due fattori penso che sia una strada da percorrere.
Alcuni ritengono che la vittoria del sì provocherebbe la perdita di migliaia di posti di lavoro sulle piattaforme offshore. Ma è più importante la salute di tutti i cittadini o il posto di lavoro di poche migliaia di lavoratori?
E’ importantissima la salute delle persone. In più non sono d’accordo con chi sostiene questo scenario nel quale perderebbero il posto di lavoro tante persone. Perché comunque le prime trivelle verrebbero fermate, se non ricordo male, tra cinque anni. Quindi c’è il tempo, volendo, di ridistribuire il personale. Eventualmente ricollocandolo nel settore delle energie rinnovabili. Penso che ci sarebbe il tempo per gestire anche questo aspetto senza creare dei problemi sociali alle persone che lavorano nel settore delle trivellazioni petrolifere.
Referendum sulle trivelle, si vota domenica 17 aprile
Il quesito: “Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?”
Domenica 17 aprile, gli italiani saranno chiamati a votare per il “referendum sulle trivelle”, saranno chiamati cioè, ad esprimere la volontà di abrogare oppure mantenere, la vigente normativa in materia ambientale, in particolare il comma 17 dell’articolo 6 della legge 152 del 3 aprile 2006.
Il quesito del referendum abrogativo, promosso da nove regioni italiane, riguarda solamente la durata delle trivellazioni già esistenti entro le 12 miglia dalla costa. Rispondendo SI, tutte le concessioni esistenti in mare all’interno delle 12 miglia (circa più di 20 chilometri) dalla costa, verranno bloccate allo scadere dei contratti in essere, indipendentemente dall’esistenza o meno del gas o petrolio. Rispondendo NO, non ci sarà nessun cambiamento per le trivellazioni su terra e in mare oltre le 12 miglia che continueranno ad esistere, e nessuna variazione per le nuove perforazioni entro le 12 miglia, essendo già vietate per legge.
Come previsto dall’articolo 75 della Costituzione Italiana, il referendum popolare è valido solo se raggiunge il quorum, ovvero se va a votare il 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto.