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Rana Plaza, mini risarcimento da Benetton

Vittime Rana Plaza Benetton

A distanza di due anni l’italiana Benetton ha finalmente stabilito un risarcimento, un mini risarcimento in verità, per le vittime del Rana Plaza: 970 dollari per ogni morto.

Il 24 aprile del 2013 crollava a Savar, nella Grande Area di Dacca capitale del Bangladesh, il Rana Plaza, un edificio commerciale di otto piani, facendo più di 1000 vittime. L’edificio conteneva alcune fabbriche d’abbigliamento (tra cui anche l’italiana  Benetton), una banca, appartamenti e numerosi altri negozi. Quel giorno, a seguito di alcune segnalazioni di crepe presenti sui muri, i negozi e la banca ai piani inferiori furono chiusi, mentre l’avviso di evacuare gli operai, fu ignorato dai proprietari delle fabbriche tessili.

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Benetton, mini risarcimento per le vittime del Rana Plaza. 970 dollari per ogni morto

Il crollo del Rana Plaza è considerato il più grave incidente mortale avvenuto in una fabbrica tessile nella storia, così come il più letale cedimento strutturale accidentale nella storia umana moderna: le operazioni di soccorso e ricerca si sono concluse il 13 maggio con 1.129 vittime. Circa 2.515 feriti furono estratti vivi dal palazzo.

H&M, Primark, Mango e Auchan, alcune delle grandi aziende presenti nell’edificio, non si sono mai sottratte al risarcimento chiesto dalle associazioni in difesa delle famiglie delle vittime, mentre l’italiana Benetton, ha capitolato solo dopo due anni di pressioni , per un risarcimento a dir poco simbolico: 970 dollari per ogni morto.

Il gruppo di Treviso ha annunciato che contribuirà con 1.100.000 dollari al Rana Plaza Trust Fund, raddoppiando l’importo consigliato in una valutazione indipendente. Ma alla fine dei conti l’indennizzo per le 1.134 vittime si ferma sotto i mille dollari ciascuna, decisamente pochino per un gruppo che nel 2013, anno in cui è successa la tragedia, ha realizzato un utile d’esercizio pari a 121 milioni di euro.

La ong Avaaz e le associazioni in difesa delle vittime si battono per raggiungere almeno la cifra congrua di 30 milioni

Va da se che il contributo sia stato giudicato a dir poco “insufficiente”, considerato anche il fatto che l’azienda ha volutamente lasciato il calcolo in mano ad “una terza parte indipendente e globalmente riconosciuta”, la società di consulenza Pricewatercoopers, che aveva fissato una cifra pari a 500 mila dollari poi raddoppiata da Benetton stessa.
Deborah Lucchetti, portavoce della campagna “Abiti puliti”, afferma che “Benetton ha di nuovo sprecato tempo e denaro in un processo atto a cercare di legittimare il loro insufficiente versamento. È molto preoccupante che abbia affidato la sua valutazione ad una società che non ha precedenti in materia di diritti umani (Pwc, ndr). È davvero allarmante e significativo che la valutazione della Pwc sia stata approvata solo da una delle meno affidabili società di revisione in un settore che fa acqua da tutte le parti”.

L’associazione punta il dito anche contro Wrap (Worldwide Responsible Accredited Production), una delle principali Ong operanti nella social responsibility della catena di fornitura globale che ha approvato l’importo del risarcimento.

Marco Airoldi, amministratore delegato di Benetton dichiara: “Sebbene non possa esistere alcun vero risarcimento per la tragica perdita di vite umane, ci auguriamo che questo meccanismo chiaro ed efficace per il calcolo dell’indennizzo venga utilizzato più ampiamente”.

La cifra individuata dalle associazioni come necessaria per soddisfare le richieste di risarcimento, ammonta a 30 milioni e anche la ong Avaaz si batte per raggiungere questo risultato. Dalia Hashad, direttore delle campagne di Avaaz afferma che “Il contributo di Benetton non è certamente sufficiente a risarcire la morte e le sofferenze causate dai loro vestiti, ma è solo grazie alla richiesta di oltre un milione di persone che hanno finalmente cambiato posizione e deciso di contribuire. Questo introduce un precedente per le imprese di tutto il mondo: quando dei lavoratori muoiono, non ci si può girare dall’altra parte“.

Per firmare la petizione di Avaaz 

 

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