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Quando gli Aztechi potevano sconfiggere Cortés

Hernan Cortes, 1st Marquis of the Valley of Oaxaca (1485Ð1547). Spanish conqueror. Anonymus portrait. . Credit: Album / sfgp

Il 7 luglio 1520 Hernan Cortés affronta gli Aztechi nella sanguinosa e incertissima battaglia di Otompan. È l’ultima battuta d’arresto degli spagnoli prima della conquista definitiva dell’impero azteco.

Un avventuriero senza furori ideologici si brucia le navi alle spalle

Hernan Cortés è un avventuriero il cui nome nell’immaginario collettivo è legato a quelli di Pizzarro, Cabeza de Vaca o Balboa, protagonisti negativi di un’epoca di colossali “pulizie etniche”. Il giudizio è superficiale. Cortés non ha infatti né la sanguinaria crudeltà di Pizzarro, né la credulità dei sognatori dell’Eldorado. In lui non c’è alcun furore ideologico-confessionale. Le sue doti sono la concretezza e il senso della realtà, oltre a una buona dose di fortuna. Conquista il Messico perché quello e il suo obiettivo e nella guerra d’aggressione si comporta con lucidità e determinazione, senza aggiungere inutili crudeltà a quelle già previste dalla ferocia del conflitto. Quando il 18 febbraio 1519 parte da Cuba con scarsa attrezzatura e poco più di cinquecento uomini ha trentaquattro anni. Un mese dopo arriva nello Yucatàn dove incontra ciò che resta dei Maya scacciati dall’aggressiva espansione degli Aztechi. Stabilisce rapporti amichevoli e riceve in dono venti fanciulle, tra cui l’abile Marina, che diventa la sua compagna e la più affidabile consigliera. Si fa eleggere dai soldati Capitano Generale e stringe un’alleanza con i sovrani di venti città abitate dai Totonachi, un popolo insofferente al dominio degli Aztechi aggiungendo al suo scarso esercito un’imponente armata di migliaia di indios motivati e addestrati a muoversi su un terreno a lui sconosciuto. Fa poi bruciare tutte le navi della sua flotta. Nessuno può più tornare indietro. Il 16 agosto 1519 inizia la marcia verso il cuore dell’impero azteco durante la quale unisce alla sua causa anche gli tlaxcaltechi.

La ritirata e il cambio di strategia

Nei primi giorni di novembre del 1519 davanti a Tenochtitlan, la capitale dell’impero, arriva un esercito sterminato. Non ci sono combattimenti perché con una mossa a sorpresa Moctezuma, il sovrano degli Aztechi si presenta alle porte della città, rende omaggio allo spagnolo e lo invita a entrare con i suoi uomini. Sei giorni dopo Cortés, con il pretesto di alcuni incidenti, trasferisce Moctezuma nei suoi alloggi, precisando che non deve considerarsi “prigioniero”, ma “ospite di rispetto”. La situazione si complica nel giugno del 1520 quando nella capitale azteca scoppia la rivolta. Il 17 giugno Moctezuma impegnato a calmare la folla, viene ferito da una sassata e tre giorni dopo muore. Il successore Cuitlahuac incita il popolo a scacciare l’invasore. Il 30 giugno gli spagnoli e gli indios alleati iniziano a ritirarsi dopo aspri combattimenti e numerose perdite. Inseguiti e circondati sono costretti ad affrontare gli Aztechi nella sanguinosa e incertissima battaglia di Otompan, che inizia il 7 e si conclude solo l’8 luglio dopo l’uccisione del comandante delle forze avversarie. Ritiratosi nella città alleata di Tlaxcala Cortés lavora ad allargare il fronte dei suoi alleati a tutti i popoli ostili agli Aztechi. Quando il 28 dicembre, parte per la sua nuova spedizione ha una schiera di oltre centomila uomini. La sua strategia questa volta è diversa. Man mano che procede “libera” territori sotto la dominazione azteca e insedia sovrani locali a lui fedeli. Il 13 agosto la capitale cade. Inizia il saccheggio e il massacro. Lo stesso sovrano Guatimozino, succeduto a Cuitlahuac, viene imprigionato e sottoposto a terribili quanto inutili sevizie perché riveli il nascondiglio del tesoro reale. Finiti i giorni del massacro Cortés stipula un “trattato di pace” e ingloba ciò che resta dell’esercito azteco nelle sue truppe.

 

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