«Noi stiamo perdendo le nostre libertà, è incredibile e scioccante». La frase di Cher, diffusa il 2 marzo 2002 dalle agenzie di stampa, fa effetto perché quel noi significa “noi statunitensi”.
Una star arrabbiata
La dichiarazione fa poi ancora più effetto perché a pronunciarla non è personaggio legato alla cultura alternativa, come Patti Smith o Rickie Lee Jones, ma una tranquilla e convinta star a stelle e strisce come Cher, sempre pronta a schierarsi con l’establishment in nome del fatto che gli artisti «non fanno politica» o, come ha fatto, cantare un paio di brani per il Ross Perrot di turno. Lei, l’antica interprete di I got you babe, sopravvissuta al tempo più per la capacità di farsi gli affari suoi che per i pubblicizzati lifting, si è arrabbiata. Bersaglio della sua ira è il bigotto e ultraconservatore John Ashcroft, titolare della giustizia americana, che ha deciso di coprire con un velo bianco le nudità delle due statue in marmo raffiguranti la Legge e la Giustizia che accolgono i visitatori all’entrata del ministero.
Moralizzatori contro l’arte
Ashcroft non è l’unico moralizzatore che se la prende con l’arte. La titolare dell’Agenzia Federale per la Protezione dell’Ambiente, Christine Todd Withman ha coperto alcuni murales della sede di Washington perché erano raffigurate donne nude. Sono gesti da nulla in confronto alle limitazioni alla libertà delle persone introdotte dopo l’11 settembre, ma sono indicative. Cher ha usato parole pesanti aggiungendo che se si va avanti così si finirà per coprire anche la Venere di Milo o il David di Michelangelo. C’è anche chi ha ricordato come l’atteggiamento culturale di chi copre le opere d’arte sia del tutto identico a quello che ha portato i talebani a distruggere le famose statue dei Buddha.