Home C'era una volta Perz Prado, il Re del mambo

Perz Prado, il Re del mambo

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Il 14 settembre 1989 a Colonia del Valle in Messico muore il direttore d’orchestra Pérez Prado, il Re del mambo, principale artefice della diffusione nel mondo del più popolare ritmo afrocubano degli anni Cinquanta. Al momento della sua morte i giornali sorvolano sull’età. L’unica certezza è che ha più di settant’anni, ma la sua vera età resta un mistero, dato che diverse sono le date di nascita che di volta in volta vengono diffuse.

Il cubano che cambia la storia delle grandi orchestre

Stando alle biografie più o meno ufficiali Damaso Pérez Prado, questo è il suo nome completo, sarebbe nato in Cuba, a Matanzas, in un periodo compreso tra il 23 novembre 1918 e l’11 dicembre 1916. La prima vera scrittura l’ottiene negli anni Trenta dall’Orchestra del Casinò de la Playa a Cuba, dove resta per qualche anno. Lavora anche come arrangiatore e, in segreto, coltiva il sogno di mettersi in proprio. In quel periodo uno dei balli dell’isola, il Mambo, inizia a diffondersi come danza di sala grazie al compositore e direttore d’orchestra Arsenio Rodríguez, che ne codifica e ne definisce le strutture ritmiche e armoniche, realizzando una simbiosi tra i ritmi sincopati del jazz orchestrale nordamericano e quelli afro-cubani della sua terra d’origine. Pérez Prado resta affascinato da questa musica che reca in sé il fascino della contraddizione. Nel 1948 trova le risorse e il coraggio necessario a dare vita alla sua prima grande orchestra, mentre il Mambo sta per trovare la sua definitiva consacrazione nel più grande mercato musicale del mondo: gli Stati Uniti. Complici e protagoniste della sua diffusione sono le comunità ispaniche, soprattutto quelle delle grandi metropoli, che si trasformano in una sorta di gigantesca e capillare cassa di risonanza. Il ritmo e la sensualità del mambo si diffondono così a macchia d’olio fino contagiare prima gli Stati Uniti e poi il mondo.

Il Mambo italiano

In Italia il Mambo sbarca ufficialmente nei primi anni del dopoguerra, quando tutto ciò che arriva d’oltreoceano fa sognare, anche se il vero boom è degli anni Cinquanta. Nel panorama musicale della seconda metà degli anni Quaranta, caratterizzato come sempre dal contrasto tra rinnovamento e tradizione, il ritmo intrigante e la sensualità di questo ballo colpiscono gli autori della canzone italiana che tentano di appropriarsene. Sono, però, anni difficili per l’Italia che esce da un lungo periodo di dittatura e di pesante cappa culturale. L’evoluzione dei costumi è lenta e caratterizzata da improvvisi sussulti moralistici. Nella trasposizione italiana del mambo si preferisce, perciò, sfumarne la carica erotica. Nascono così una lunga serie di canzoni costruite a ritmo di mambo ma con la melodia costruita in modo da dilatare leggermente il tempo. Dal punto di vista strutturale l’operazione è corretta perché tende a ridurre la suddivisione irregolare che ne caratterizza l’andamento e lo porta ad assomigliare ai 3/4 e lo riporta anche nell’esecuzione vicino al tempo vero, che è di 4/4. È evidente però che il mambo delle canzoni italiane nella seconda metà degli anni Quaranta è un mambo “annacquato”, innocuo. Non è mambo. Sfugge a questa regola il mambo ballato nel 1948 sull’aia della cascina da una mondina esplosiva come Silvana Mangano nel film “Riso amaro”, ma è un’eccezione. Nel 1954 Perez Prado, ormai divenuto il “Re del mambo”, è uno dei direttori d’orchestra più richiesti grazie anche allo straordinario successo della sua “Cherry pink and apple blossom white“. Negli anni successivi la sua popolarità resta intatta nonostante il declino della musica orchestrale e, in parte, del mambo. Come gli antichi nocchieri continua a guidare la sua orchestra e lavora praticamente fino a quando la salute lo regge. Incurante del tempo che passa fino agli ultimi giorni della sua vita si dedica alla composizione e all’arrangiamento. Nel 1981 torna anche in sala di registrazione per occuparsi della ripubblicazione dei suoi vecchi successi.

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".