Sono le ore 20, 59 minuti e 45 secondi del 27 giugno 1980 quando dai radar della torre di controllo di Ciampino a Roma scompare improvvisamente la traccia di un aereo civile. È un DC9 della società Itavia, in volo da Bologna a Palermo e partito con due ore di ritardo. La sua scomparsa avviene sul punto di coordinate 39°43’ Nord e 12°55’ Est e l’aereo si inabissa nel mare tra le isole di Ponza e Ustica.
Un gioco sporco
A bordo del DC9 dell’Itavia ci sono ottantuno persone: tre componenti l’equipaggio e settantotto i passeggeri. Tredici di loro sono bambini, due dei quali non hanno ancora passato la boa del secondo mese di vita. Il controllore di volo che in quel momento è di turno davanti ai radar di Ciampino cerca di ristabilire il contatto con il pilota ma non ottiene risposta. Scatta l’allarme, ma non i soccorsi che stranamente arrivano soltanto alla mattina dopo sul punto dove è scomparso l’aereo. La tesi iniziale sull’incidente è che l’aereo sia caduto per un “difetto strutturale”. Per un paio d’anni resta la spiegazione ufficiale dell’incidente e provoca il fallimento dell’Itavia diventata improvvisamente una compagnia che fa volare carrette poco affidabili, ma non tutti credono a questa ipotesi. Sulla base di varie inchieste giornalistiche il 17 dicembre del 1980 proprio l’Itavia ipotizza per la prima volta l’ipotesi che l’aereo sia stato abbattuto da un missile ma la verità fatica a farsi largo tra inadempienze e ritardi. Per consegnare al pubblico ministero Santacroce le registrazioni delle traccia radar del DC9 l’aeronautica militare impiega ventisei giorni per quelle di Ciampino e novantanove per i nastri del radar di Marsala. L’impressione è che una parte delle strutture dello Stato giochi sporco per nascondere la verità.
Un mistero senza risposte
Dopo il cedimento strutturale molte ipotesi vengono avanzate nel corso degli anni per spiegare la strage di Ustica: un guasto improvviso, un attentato, infine un missile lanciato per sbaglio o volontariamente da un aereo militare. Il 31 agosto 1999 il giudice Rosario Priore ipotizza che l’aereo sia precipitato perché coinvolto in una battaglia aerea e rinvia a giudizio numerosi militari, compresi i generali Lamberto Bartolucci, Franco Ferri, Corrado Melillo e Zeno Tascio per varie accuse compresa quella di alto tradimento. Il 28 settembre 2000 a Roma inizia il processo che si conclude con l’assoluzione di Melillo e Tascio “per non aver commesso il fatto” mentre Bartolucci e Ferri pur ritenuti colpevoli non vengono condannati perchè il reato è caduto in prescrizione. Nel 2005 la Corte di Appello di Roma assolve i generali Bartolucci e Ferri dalla imputazione di “alto tradimento” perché “il fatto non sussiste”. Il 10 gennaio 2007 la prima sezione penale della Cassazione, presieduta da Torquato Gemelli, conferma definitivamente quella sentenza. Mentre i legali di alcuni familiari delle vittime esprimono «profonda amarezza e indignazione per ciò che è accaduto», si chiude senza colpevoli e senza spiegazioni la lunga vicenda processuale sulla strage di Ustica. Chi è stato? Perché? Un mistero che per ora non ha risposte.