Il 10 febbraio 1987 Paul Simon presenta il suo nuovo album Graceland a Parigi. Il locale scelto per l’occasione è lo Zenith, sul quale convergono, oltre ai giornalisti, anche varie associazioni e movimenti antirazzisti della capitale francese.
Un forte impegno antirazzista
La presenza delle associazioni e dei movimenti non è casuale, perché l’album che segna il ritorno sulle scene del cantautore statunitense è connotato da un forte impegno antirazzista. Realizzato in oltre un anno di lavoro ha visto la collaborazione di musicisti statunitensi, latini e africani come Los Lobos, Youssou N’Dour, Steve Gadd, i Ladysmith Black Mambazo e gli Everly Brothers. A vent’anni esatti di distanza dall’intensa stagione delle lotte per i diritti civili che l’aveva visto tra i protagonisti come componente del duo Simon & Garfunkel, Paul Simon ripropone al pubblico la sua immagine più impegnata.
Io amo sognare in grande
I giornalisti europei guardano con scetticismo a questa improvvisa riconversione e gli chiedono cosa sia cambiato in lui quattro anni dopo la pubblicazione di un album bello ma decisamente leggero e disimpegnato come Hearts and bones del 1983. Paul per un po’ ascolta con pazienza e in silenzio i suoi interlocutori, poi chiede la parola «Io amo sognare in grande. Il rock è, per me, un grande sogno di uguaglianza e libertà che non ritengo di avere mai tradito. Non amo, invece, questi anni di confusione, in cui i suoni coprono le parole. Vedo che nel mondo altri la pensano come me e non m’importa se sono nati in Asia, in Africa, in Europa o negli Stati Uniti. L’album vuole essere un po’ la sintesi dei miei pensieri. Può darsi che non sia riuscito compiutamente a mettere in musica ciò che penso, ma non vorrei che qualcuno pretendesse di farmi dire ciò che lui pensa. Non mi interessa venire considerato una rockstar. Che io lo sia o non lo sia è un problema vostro. Il mio problema è che tutti capiscano ciò che ho nel cuore». Più ancora del disco saranno i concerti del “Graceland tour” a chiarire il senso dell’impegno contro il razzismo di Paul Simon. Sul palco il cantautore darà un grandissimo spazio, fino a scomparire, ai componenti del gruppo Ladysmith Black Mambazo e, soprattutto, a due artisti sudafricani in esilio come Hugh Masekela e Miriam Makeba. Alla fine convincerà anche gli scettici, tanto che in Italia qualcuno scriverà di lui: «Avvicinandosi ai cinquant’anni è entrato nel gruppo dei musicisti rock maturi e coraggiosi…»