Il 10 ottobre 1976 i Sex Pistols firmano il loro primo contratto discografico con la EMI. La band riceve quarantamila sterline d’anticipo, la cifra più alta mai pagata a un gruppo sostanzialmente sconosciuto e all’esordio in sala di registrazione. La notizia coglie di sorpresa l’ambiente musicale britannico che non si aspettava una così rapida conclusione delle trattative.
Si sa com’è la vita
C’è anche chi vede in questa firma un cedimento da parte del gruppo, considerato l’alfiere dell’ala alternativa e anticommerciale del movimento punk. In quel periodo la formazione dei Sex Pistols comprende il chitarrista Steve Jones, il batterista Paul Cook, il bassista Glen Matlock e il cantante Johnny Rotten, che all’anagrafe è registrato con il nome di Johnny Lydon. Qualche mese dopo Matlock verrà espulso dai compagni perché sospettato di “cedimenti commerciali” e sarà sostituito dall’inquietante Sid Vicious. Al momento della firma del primo contratto i giornalisti chiedono a Johnny Rotten, considerato un po’ il personaggio simbolo e portavoce della band se non ci sia una contraddizione tra la loro accesa contestazione del sistema e la sottoscrizione di un accordo con una delle più importanti case discografiche britanniche. Senza scomporsi Rotten sghignazza e dichiara: «Si sa com’è la vita. Le firme vanno e vengono, ma state tranquilli, nessuna casa discografica riuscirà a far soldi sui Sex Pistols». Mai previsione è stata più azzeccata. Qualche settimana dopo il loro primo singolo targato EMI, Anarchy in the UK, scala rapidamente la classifica, ma la casa discografica non riuscirà a capitalizzarne i guadagni. Dopo le polemiche suscitate dalla scandalosa e devastante apparizione del gruppo in TV nella puntata del 1° dicembre del programma “Today”, la stessa EMI chiederà e otterrà la rescissione del contratto versando ai Sex Pistols un indennizzo di cinquantamila sterline.
Quello che i Beatles sono stati per il beat
Un bell’affare per la band che in un pochi mesi di vita è riuscita a diventare per il punk quello che i Beatles sono stati per il beat. Non sarà l’ultimo. Altre major tenteranno di approfittare della popolarità del gruppo, ma ogni volta, di fronte alla carica eversiva delle canzoni e alla potenzialità distruttiva dei comportamenti, si vedranno costrette a recedere pagando profumatissime penali. Così, mentre la musica dei Sex Pistols infiamma la Gran Bretagna diventando il simbolo di una profonda rottura generazionale, i suoi componenti si arricchiscono a dismisura alle spalle delle case discografiche con i soldi delle penali. È un modo singolare e redditizio di mettere a nudo la fragilità dell’industria nata sulle culture alternative, pronta a metabolizzare la protesta di facciata, ma incapace di fagocitare la ribellione vera. È quasi imbarazzante la rapidità con la quale gli “uomini in grigio” delle case discografiche versano loro denaro per averli in esclusiva e poi ne versano altro per disfarsene. I Sex Pistols si arricchiscono alle spalle del sistema. Non si tratta di un caso, ma di una precisa e scientifica pianificazione messa in atto dal loro manager Malcom McLaren e descritta nei minimi particolari dal film “The great rock ‘n’ roll swindle” (La grande truffa del rock and roll). I giudizi su di loro sono contrastanti. C’è chi li ritiene degli oltraggiosi innovatori e chi una banda di truffatori. Entrambe le definizioni sono azzeccate. Nessun gruppo, nella storia del rock, ha avuto un effetto così dirompente in un tempo così breve. In meno di due anni, tanto dura la loro storia dal primo concerto all’annuncio dello scioglimento, diventano miliardari, scardinano le sicurezze dell’industria discografica, infiammano la scena musicale britannica e si lasciano consumare dall’incendio da loro appiccato.