Il 28 gennaio 1952 inizia la seconda edizione del Festival di Sanremo. A un anno di distanza dalla prima esperienza la manifestazione viene guardata con crescente interesse dagli addetti ai lavori per le potenzialità connesse alla sua diffusione in diretta radiofonica.
Una canzone di successo ma non solo
Per il lancio definitivo della manifestazione sanremese manca solo una canzone capace di diventare un grande successo popolare. Puntuale, arriva. Si intitola Papaveri e papere. È interpretata dalla “regina” Nilla Pizzi, già vincitrice nel 1951 e nuovamente condannata a trionfare con Vola colomba. Il brano, che si inserisce nel filone delle “canzoni dell’allegria” e porta la firma di Nino Rastelli, Mario Panzeri e Vittorio Mascheroni, fa impazzire l’Italia sia per la caccia ai doppi sensi presenti nel testo che per la sua orecchiabilità. Non è necessario essere esperti per capire che funziona. La sua forza appare evidente già nella terza serata del Festival quando, eseguito in 6/8 con il sottofondo dei «quack, quack» del trombonista Mario Pezzotta, Nilla Pizzi si ritrova a cantarlo con l’accompagnamento corale del pubblico. Tutti l’hanno imparato dopo averlo ascoltato una sola volta. Nonostante il successo o, forse, proprio per quello, il brano attira l’attenzione dei censori che accusano Papaveri e papere di contenere un’allusione in codice contro i notabili democristiani dell’epoca, identificati come i “papaveri alti, alti, alti”. Gli autori giurano che non è vero e che la loro è soltanto una scherzosa filastrocca come tante altre, ma i comunisti non si fanno scappare l’occasione e raffigurano gli alti papaveri democristiani abbattuti da una falce miracolosa.
Panzeri è recidivo
Uno degli autori poi è recidivo. Si tratta di Mario Panzeri, che negli anni del fascismo ha avuto più d’un problema per i suoi testi. Il primo risale al 1939, quando il regime decide di erigere un monumento a Livorno in onore di Costanzo Ciano e un gruppo di studenti affigge un cartello sui blocchi di marmo del basamento con il testo di una sua canzone: «Maramao perché sei morto/pane e vin non ti mancava». Panzeri prova la sua innocenza dimostrando di avere scritto i versi prima della morte di Ciano, ma l’anno dopo deve difendersi dall’accusa che la sua canzone Pippo non lo sa («Ma Pippo Pippo non lo sa/che quando passa ride tutta la città/si sente bello come un Apollo/e saltella come un pollo..».”) sia un attacco diretto ad Achille Starace, Capo di Stato Maggiore della Milizia Volontaria Fascista. La sua difesa è la solita: trattasi di un caso. Più difficile diventa invocare il caso quando nel ritornello del brano Il tamburo della Banda d’Affori scrive «È il tamburo principal della banda d’Affori/che comanda cinquecentocinquanta pifferi». Accusato di essersi fatto beffe di Mussolini e della Camera dei fasci e delle corporazioni che, guarda caso, è composta esattamente da cinquecentocinquanta consiglieri, passa più di un guaio. Figurarsi se si spaventa quando la censura dell’Italia democristiana lo prende in mezzo per Papaveri e papere… Alza le spalle e tira diritto. Alla fine non gli succede niente perché, come spesso accade in Italia, la polemica si spegne per consunzione con la stessa rapidità con la quale si è accesa.