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Paolo Fresu: «Un artista non può che dare esempio»

Paolo Fresu

Foto di Manuela Abis

Trombettista e compositore di fama internazionale Paolo Fresu ha suonato in ogni dove e con i più grandi della musica afroamericana. Fondatore del Berchidda Jazz Festival, Fresu è riuscito a portare in pianta stabile il jazz in un piccolo centro della Sardegna. Un appuntamento fisso per artisti di fama mondiale, per gli appassionati di jazz e non solo. Un grande evento culturale che riunisce ogni anno a Berchidda più di 35mila visitatori.

Per festeggiare il tuo cinquantesimo compleanno la scorsa estate hai attraversato in lungo e in largo la Sardegna percorrendo quasi 7 mila km: cinquanta concerti lungo tutta l’isola. Ogni giorno un concerto in una località diversa non meno suggestiva della precedente. Un tour ecosostenibile. Sappiamo che ti sei impegnato a non consumare più di 5kW al giorno, è vero? Nessun allaccio alla corrente e utilizzo di pannelli solari. Come è nata l’idea di un palco autoalimentato? Come hai pensato e vissuto l’intero progetto?
Tutto vero. “!50” è stata una scommessa vinta. Non senza difficoltà ma grazie a tutti coloro che hanno creduto fortemente in questa follia. A partire da Gianni Melis passando per Tommaso Onofri della SLO Foundation (Sustainable Life Opportunity Foundation – Progetti integrati di marketing territoriale sulle opportunità di sostenibilità – ndr) che ha poi fornito quello che abbiamo chiamato il “Carro delle energie” che ha prodotto per noi la corrente necessaria per tutti i concerti e anche per le luci e i video. Un sistema misto di fotovoltaico ed eolico che di giorno in giorno si spostava nei nuovi luoghi per convertire l’energia pulita in suono ed emozione.

Pensi che sia possibile realizzare strutture di questo tipo anche per altri tipi di manifestazioni?
A giudicare dai nostri risultati penso proprio di sì. Certo, non si può alimentare un palco che richiede un wattaggio enorme. La cosa più bella e interessante è stato proprio dimostrare che si può fare uno spettacolo bello, con pochi watt, laddove la creatività e le idee possono sopperire al resto. Il pubblico ha dimostrato di apprezzare molto e il messaggio che abbiamo portato in giro per cinquanta giorni è stato recepito.

Un progetto come questo è stato portato avanti grazie a sovvenzioni pubbliche o grazie agli sponsor? I Comuni sono sensibili a questo tema?
I Comuni si sono dimostrati sensibili a questo tema. Molta gente, alla fine dei concerti, parlava con Tommaso Onofri e si informava. Tommaso donava anche un suo libro dove si parla del tema energetico e molti Sindaci ed Assessori si sono dimostrati curiosi.
Tutto ciò che abbiamo fatto è con il contributo dei Comuni spesso piccolissimi ma che volevano essere assolutamente nel progetto. Pensavamo di recuperare una buona cifra dagli sponsor ma, guarda caso, alla fine si sono tutti ritirati. Non credo che molti abbiamo voglia di investire in Sardegna… Gli unici sponsor sono stati la Banca di Sassari e Sardegna24 che è (era visto che oggi non c’è già più) un nuovo quotidiano nato proprio negli stessi giorni del nostro tour. Sponsor che hanno coperto non più di un quinto delle risorse che contavamo di raccogliere.

Pensi che “!50” abbia avuto la giusta risonanza mediatica?
Si può fare sempre di più ma penso che se ne sia parlato abbastanza. Inoltre, è uscito il libro con i miei diari per Feltrinelli, un catalogo fotografico per i tipi della Ilisso e una serie di CD e un DVD in allegato con Repubblica/L’Espresso. Insomma, alla fine e dopo un anno si parla molto di un progetto che forse non si farà mai, ma che resterà nella memoria di molti. Nella mia di certo!

E anche nella nostra. Quanto è importante per un artista occuparsi di ambiente e sensibilizzare il pubblico?
Penso che l’artista contemporaneo abbia la responsabilità di occuparsi dei temi legati al pianeta e al sociale. Altrimenti, come scrissi allora in un articolo per il quotidiano La Nuova Sardegna “le note si perdono nel vento”. Se poi l’artista è conosciuto e credibile ha ancora di più la responsabilità di denunciare gli abusi e di invitare a una riflessione su ciò che succede nel mondo.

I siti in cui si sono svolti i concerti sono stati scelti in base alla loro importanza dal punto di vista storico, culturale ed archeologico. La scelta è stata particolarmente difficile? Quali sono stati i luoghi che ti hanno colpito di più, a cui sei più affezionato?
Buona parte dei luoghi li ho scelti io. Successivamente c’è stata la gara, da parte dei Comuni, per proporre luoghi spesso non conosciuti ma bellissimi. Devo dire che non è stato neanche difficile convincere i Sindaci o gli assessori a fare il concerto in una stazione ferroviaria piuttosto che nel nuovo auditorium all’aperto fatto in paese. Tutti i luoghi avevano un grande valore. Erano luoghi di interesse archeologico o religioso, storico o sociale. Potrei fare dei nomi ma sarebbe ingiusto nei confronti degli altri. Posso dire invece che le carceri e gli ospedali, dove andavamo di giorno, hanno riservato grandi sorprese e molta emozione. Cito solo uno dei tanti luoghi dove sarei voluto andare ma non è stato possibile: l’isola della Foradada ad Alghero. Sarà per la prossima volta: ci sarà solo l’imbarazzo della scelta di altrettanti luoghi magici e straordinari.

Questi concerti sono anche un modo di mostrare una bellissima regione, come la Sardegna, che non è solo sole, mare e yacht come invece appare nell’immaginario collettivo…
Certo che sì. Ci hanno seguito, tra streaming e live, circa 140mila persone che hanno avuto modo di vedere, conoscere ed apprezzare una Sardegna diversa e di certo più autentica e vera. Uno dei lati più belli di “!50” è stato proprio il rapporto con la gente e con i luoghi. Questo è la vera Sardegna. Una Sardegna che ha mostrato un lato umano e solidale veramente emozionante.

Quali sono i tuoi prossimi impegni?
Tanti. Una lunga tournèe estiva fino a Time in Jazz e poi i Seminari di Nuoro dove sono Direttore artistico e insegnante da 24 anni. Inoltre un cd nuovo che uscirà nel gennaio del 2013 per la mia etichetta Tǔk Music con il Devil Quartet e tanti progetti nuovi oltre a una carta bianca in settembre per il festival MITO tra Torino e Milano.

Artista a tutto tondo sappiamo che Paolo ha mille interessi ed è sempre in movimento. Sarà per questo che ti chiamano “L’uomo dalle sette vite”?
La vita è una ma si può declinare in tanti modi diversi. Quello mio è mettere la musica al centro delle scoperte e farne l’epicentro tellurico di un movimento artistico che abbraccia la vita e i rapporti. Solo così ha senso vivere i prossimi cinquant’anni.

Una curiosità: come mai la tua città natale è chiamata “La città del miele e del vino”?
Perché vi si produce buon miele e tanto vino. In particolare Vermentino che è l’uvaggio tipico della Gallura anche se Berchidda è nel Logudoro. Ora bisognerebbe aggiungere anche Città della Musica. O forse dell’Arte…

Tu vivi tra Parigi, Bologna e la Sardegna, tre posti meravigliosi. Dovendo utilizzare un aggettivo per descriverli, quale sceglieresti? Qual è il luogo che più ti rappresenta?
Parigi e Bologna solo le città degli incontri. La Sardegna è l’isola del meticcio per antonomasia in quanto sta in mezzo al Mediterraneo. Forse lì ci si incontra ancora di più ma non se ne è coscienti. Forse è la Sardegna il luogo che meglio mi rappresenta…

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