La questione è complessa. Per le miniere del Sulcis, come per l’Ilva di Taranto, sembrano, ma solo apparentemente, si pongano quasi in conflitto le ragioni sacrosante del lavoro con quelle, altrettanto fondamentali, dell’ambiente, della salute, del diritto ad una vita dignitosa.
E come poter dimenticare in questo contesto la strage dei minatori in Sud Africa?
E’ chiaro che le situazioni sono diverse. Nel caso dello sciopero dei minatori del Sulcis, i problemi per l’occupazione riguardano una situazione differente da quella dell’ILVA di Taranto. Innanzitutto perché non si tratta di un problema di inquinamento ambientale ma, comunque, strettamente legato all’ambiente: quello della scarsità delle risorse. Ed anche della bassa qualità delle stesse.
L’attenzione di chi governa
In un suo recente articolo Marco Pagani, fisico e docente di matematica e fisica, tenta una spiegazione che non si può dire esauriente ma che fa il punto sulla complessità della questione da porre inevitabilmente all’attenzione di chi governa.
Gli unici dati sulla produzione effettiva delle miniere del Sulcis – sottolinea Pagani – è stato riferito dai minatori in un articolo a “Repubblica”: le miniere producono circa 300mila tonnellate all’anno.
Il grafico della foto mostra la produzione di carbone.
Si può notare senza molta fatica che, dopo la vertiginosa quasi inarrestabile crescita degli anni ’30 con il picco raggiunto nel 1940 di 1,3 Milioni di tonnellate, la produzione non a è più riuscita a tornare a quei livelli. Fino al 1972 quando le miniere vennero chiuse.
L’unica a riaprire – riferisce ancora Pagani – fu quella di Nuraxi Figus negli anni ’80. Ad oggi, dunque, dalle miniere non si ricavano più di 300mila tonnellate, eppure Enel non compra più il carbone. Il fatto è capire il perché.
La crisi delle miniere del Sulcis
Forse perché – suggerisce ancora l’esperto – si tratta di un carbone di scarsissima qualità? Oppure c’è un’altra recondita ragione?
A fare le analisi, si scopre che il carbone del Sulcis ha circa il 6-8% di zolfo, quello canadese, ne ha, per esempio, solo l’1% ed un potere energetico pari a 5mil a Kcal/Kg, sostanzialmente la metà dell’antracite e del petrolio. Dunque, può essere considerato un carbone non di eccellente qualità.Eppure c’è qualcos altro di cui tener conto. E, precisamente, del fatto che, nel mondo, di carbone ce n’è ancora poco.
La stima, fatta negli anni ’30, di oltre 500 milioni di tonnellate da estrarre è sovrastimata. Fino agli anni ’80 se ne sono estratte non più di 26 milioni di tonnellate. Oggi si parla di 375 milioni di tonnellate, di cui solo 50 sfruttabili. Una produzione a dir poco irrisoria per i fabbisogni energetici.
Allora? Allora si può fare un confronto. “Se dalle miniere del Sulcis – scrive Pagani – si potesse estrarre 1Mt all’anno, si avrebbe una produzione elettrica di 2,2 TWh, cioè più o meno quanto generato dal Fotovoltaico in Italia nel solo mese di luglio 2012. Assumendo una producibilità di 1700 kWh/m² anno, 1 Milione di tonnellate di carbone equivalgono a circa 130 ettari di Fotovoltaico, cioè ai tetti di circa 2600 condomini”. La domanda è d’obbligo: quante abitazioni ci sono in Sardegna?
Quanto lavoro si potrebbe creare solo con l’energia del sole?
La risposta sembra quasi scontata. Riconvertire l’economia, abbandonando lo sfruttamento delle risorse, significa non solo creare posti di lavoro ma puntare ad un lavoro di qualità.
L’immagine può essere considerata simbolica ma, in realtà, non lo è più di tanto. Si potrebbe abbandonare il buio delle caverne di una miniera per lavorare, sempicemente, sotto la luce del sole.
E quel conflitto tra le ragioni del lavoro e quelle dell’ambiente si estinguerebbe sul nascere. Si può almeno auspicare che tutto questo presto sarà possibile?