Quando apriamo le pagine di un libro di un autore estero, non viene da chiedersi quale tipo di lavoro sia stato necessario per renderlo leggibile in italiano. È questo il compito del traduttore, un mestiere molto difficile in quanto si tratta di trasporre in altra lingua l’opera di uno scrittore straniero senza “storpiarlo” per una corretta lettura; un ruolo in cui occorre avere molta competenza della lingua da tradurre e molta sensibilità culturale nel “trattamento” dell’autore. Proprio per comprendere meglio questo lavoro di “intermediazione” culturale, siamo andati a intervistare Luisa Pecchi, traduttrice e curatrice editoriale.
La lettura, un bene per tutti
Luisa, prima di tutto parlaci un po’ di te. Autrice, curatrice, traduttrice, musicista e cos’altro?
Prima di tutto sono una musicista e questo è, come diceva un amico giornalista durante una presentazione del mio lavoro su Yeats, il filo conduttore di tutto quello che faccio. In una battuta, scrivo musica e parole. Ho cominciato a desiderarlo a nove anni e a sedici a metterlo nero su bianco. Questo ha segnato la mia vita. Poi sono un’insegnante fin nel fondo del cuore, avendo insegnato musica per più di vent’anni e questa è l’altra mia attività “dominante”. Sommando le due cose, ciò che faccio sempre è tentare di comunicare, di trasmettere il bello, l’emozionante, ciò che è intorno a me. Detto così sembra romantico ma è la pura realtà; ho fatto l’attrice con spettacoli scritti e condotti da me, soprattutto per bambini; ho fatto lettura in televisione per ragazzi con Rai Dipartimento Scuola Educazione; e ho fatto anche animazione teatrale lavorando con grandi nomi del settore. Il tutto sempre intrecciato con i libri. E ora, con la mia associazione, ho firmato la sceneggiatura e le musiche del film Il viaggio del poeta per la regia di Giovanni Martinelli.
Entriamo nel vivo delle tue numerose attività, in particolare le traduzioni. Come scegli i testi da trasporre in lingua italiana e, soprattutto, quali generi di lettura preferisci?
L’inglese è la lingua da cui parto perché è un idioma che parla direttamente al mio cuore e, a esser sincera, non mi sono mai spiegata il reale motivo. Per una vicenda lunga da raccontare, avevo un conto in sospeso con Peter Pan ai giardini di Kensington, volevo farne lettura in lingua madre ma non sono mai riuscita a trovarlo. Sino a una decina d’anni fa, quando un’amica (quella che io ora chiamo “il mio ufficio stampa”) mi scaricò da internet The little white bird, il primo libro di Barrie dove compare Peter Pan e dove c’è la parte dei giardini di Kensington. Scoprii che non era mai stato tradotto.
Mi sono così buttata nella lettura di un qualcosa che non avevo mai letto in italiano. Fu meraviglioso, semplicemente meraviglioso. Adoro la scrittura di Barrie. Anche qui glisso sui dettagli di una vicenda complicata. L’ho tradotto con l’aiuto di un’amica e due anni fa la casa editrice Nobel me l’ha pubblicato. Preso il via, ho successivamente tradotto I racconti del rosso Hanrahan di Yeats (sempre per lo stesso marchio) e Il vento nei salici di Grahame per la casa editrice Fermento. A settembre, ma per ora non dico il titolo, dovrebbe invece uscire una lettura di Stevenson. Per rispondere, quindi, alla tua domanda, come li scelgo i libri? Scelgo ciò che mi commuove e che chiede a gran voce una traduzione più accessibile a tutti.
Al tuo attivo hai già diversi libri per ragazzi tra i quali L’uccellino bianco di James Matthew Barrie (Nobel, 2011), Fiabe all’aperto di Christian Andersen (Ragazzi in Fermento, 2014) e Il vento nei salici di Kenneth Grahame (Ragazzi in Fermento, 2014). Quale fil rouge ti ha condotto attraverso questi tre autori così diversi eppure così noti al grande pubblico?
Come ti dicevo, il filo conduttore è ciò che questi autori mi danno. L’uccellino bianco, tengo a specificare, non è propriamente una lettura per ragazzi; parla di fate e di Peter Pan ma, e lo dico nell’introduzione, credo che Barrie l’abbia scritto per le mamme e per le tate, non per i cuccioli. Il vento nei salici di Grahame è semplicemente commovente ma era stato o ridotto malamente, togliendo capitoli e parti bellissime, o tradotto (da Beppe Fenoglio e pubblicato postumo, quindi mai rivisto da lui) troppo pomposamente, dimenticando che sono storie raccontate a un bambino di cinque anni. Così su questo sono intervenuta, cercando di dare scorrevolezza e leggerezza alla lettura e trovando un illustratore eccezionale, il naturalista Vittorio Parisi, che ha realizzato i bellissimi disegni degli animali protagonisti. Contiene, inoltre, i testi di alcune canzoni che i vari personaggi compongono e in questo la mia anima di musicista ha aperto le ali. Andersen, invece, non l’ho tradotto, gli ho solo dato uno stile differente, ho cercato di renderlo più leggibile anche per i bambini; è un grande e complesso scrittore e le sue sono fiabe da grandi!
Hai anche tradotto e curato una versione italiana di I racconti del rosso Hanrahan di William Butler Yates (Nobel, 2014). Come mai la scelta di cimentarti con la poesia e con le atmosfere dell’Irlanda?
Non so dire se amo di più Yeats o il suo personaggio, Hanrahan. È un libro particolare e invidio chi ancora non l’ha letto; lo invidio per la gioia che proverà nell’incontro con questo personaggio meraviglioso. Senza dubbio, mi sono immersa nella poesia e nel clima irlandese, ma soprattutto nella loro musica e nella loro lettura (nella sua opera, Yeats cita e si ispira a diversi brani che fanno integralmente parte del patrimonio folkloristico dell’Eire) in un ritmo di vita che non so nemmeno se sia reale o sognato. Direi uno stato del cuore. Un’esperienza difficile e straordinaria che mi sta dando molte gratificazioni personali avendo ricevuto autorevoli approvazioni. Ma, al solito, il punto è: perché tradurlo? Perché questo testo? Per farlo conoscere a più gente possibile! Perché leggerlo nutre l’anima; perché fa nascere in noi la nostalgia di un mondo più semplice e perché l’eroe della storia “non combatte, non conquista tesori, non sposa principesse”. Per una lettura rivolta a tutti!
E per il prossimo futuro quali progetti hai in cantiere?
Ho appena finito di tradurre e limare una lettura di Stevenson molto interessante che dovrebbe uscire con Nobel a fine settembre. Con Ragazzi in Fermento, sto preparando un testo “da regalo”, una lettura che si intitolerà Fiabe per l’anno nuovo e conterrà tredici fiabe tratte da Andersen e Grimm, “riscritte” da me e sempre deliziosamente illustrato da Pierluigi Delmonte (già uno dei due illustratori di Fiabe all’aperto di Andersen). Ultima avventura, che sto vivendo in questi giorni, per il neonato marchio LBO: sto curando l’editing di un romanzo/storia realmente accaduta di uno scrittore al suo esordio. In questo caso il lavoro è duplice: elasticizzare il testo di un debuttante senza togliere l’ingenuità e la generosità di cui gli esordienti danno prova nelle loro opere prime. Un’avventura davvero entusiasmante.