Aveva novantadue anni quando lo catturarono per l’ultima volta. Era il 13 giugno del 1970 e il ladro più ricercato in tutto il Brasile non aveva perso il vizio del furto. Incorreggibile. Unico. Semplicemente Gino Amleto Meneghetti, l’uomo che è riuscito a contendere le prime pagine dei giornali carioca persino a Nelson Arante do Nascimento al secolo Pelè. Tanto famoso in Brasile quanto sconosciuto in Italia. E solo l’occhio attento e la curiosità intellettuale di Andrea Schiavon, scrittore e giornalista di Tuttosport, ha permesso di ricostruirne la vita e le imprese in Il buon ladro (Add editore, 2014).
Meneghetti, l‘Arsenio Lupin italiano
Meneghetti, da Pisa a San Paolo
Gino Amleto Meneghetti nasce a Pisa il 1 luglio 1878. Figlio di un umile barcaiolo, cresce nella Toscana povera della fine dell‘800. Siamo nell’Italia appena unificata, dove il 75% della popolazione era analfabeta e dove, tra il 1861 e il 1915, circa otto milioni di connazionali emigrano verso il continente americano in cerca di fortuna e di una vita migliore. Sin da bambino, Meneghetti conosce la dura legge del più forte negli scontri fra bande di ragazzini. E impara subito che ci sono figli e figli. Specie quelli di papà come tal Coretti, irritante e insopportabile con i più deboli quanto vigliacco e piagnone con chi gliele suona; salvo ricorrere alle amicizie del padre per vendicarsi. Nei suoi primi sedici anni di vita, entra ed esce dal carcere per piccole condanne che, tuttavia, gli creano già una fama poco raccomandabile. Per i benpensanti, però, e qui Schiavon coglie bene il punto: “Scippo, borseggio, taccheggio, furto con destrezza, furto con scasso, appropriazione indebita. Per alcuni sono tappe di una disonorata carriera. Altri invece non devono neppure sporcarsi le mani per puntare in alto. A un manager fraudolento basta aggiustare una riga dei registri contabili qui e una voce del bilancio lì. E in questi casi il poliziotto, se mai dovesse esserci un arresto, chiederebbe con vaga deferenza: ‘Permette alcune domande?’ però, tra tanti ladri diversi, chi è quello che fa più danni? Chi è davvero un pericolo per la società?” Come dire, il tempo passa ma permane sempre un certo “modo” di intendere i rapporti sociali. In questa desolante situazione di miseria e povertà, è la saggezza di Nonno Beppe a guidarlo. Gli insegnerà che i ladri altolocati non vengono mai presi con le mani nel sacco perché da loro dipendono nomine, carriere e aumenti di stipendio. Da lui imparerà un motto che Meneghetti non dimenticherà mai: “Chi ruba poco è un ladrone, chi ruba molto è un barone”. Alla tenera età di sedici anni lascia l’Italia e inizia il suo lungo girovagare per il mondo: Francia, Svizzera, Austria. E finalmente, il 25 luglio 1913, l’approdo in Brasile presso l’Hospedaria dos Imigrantes, la Ellis Island di San Paolo.
I furti eccellenti di Meneghetti
Approdato in Brasile, Meneghetti comincia a diventare sempre di più il pericolo pubblico numero uno dei benestanti della città paulista rendendosi protagonista di colpi leggendari. Il più clamoroso resta quello inflitto alla famiglia di ricchissimi emigrati italiani Matarazzo, definito dallo stesso Meneghetti come un “furto patriottico” anche se in realtà potremmo definirla una vera e propria sfida alla società borghese di San Paolo: “Rubare in casa di un Matarazzo è quindi molto più di un semplice furto, è una sfida a quella parte della città che vive nei cortili maleodoranti e fogne a cielo aperto”. Memorabile rimane poi la lezione di stile del ladro pisano quando, introducendosi nella villa della baronessa De Arary e “alleggerendola” di anelli, catenine e bracciali, scopre che la nobildonna non possiede dei gioielli particolarmente pregiati e glielo fa notare con grande eleganza lasciandole un biglietto rimasto famoso: “Cara signora, forse è meglio che d’ora in poi si rivolga a un altro gioielliere. Il suo attuale fornitore non merita grande fiducia, visto che le ha venduto merce di scarsa qualità”. Naturalmente, le sue “imprese” creano un crescente disagio nella parte “bene” di San Paolo che, stanca di subire furti da parte di Meneghetti, comincia a fare pesanti pressioni sul capo della Polizia locale, Roberto Moreira. Il loro personale duello raggiunge toni epici quando, nella conferenza stampa indetta da Moreira dove si annunciava come imminente l’arresto dell’italiano, il “nostro” gli ribatte facendogli pervenire un messaggio senza bisogno di ulteriori commenti: “E allora perché non mi ha catturato direttamente lì? Io ero seduto sulla sinistra, ero quello con il cappello e il vestito chiaro”. La trappola è comunque in arrivo e il 5 giugno 1926, dopo un inseguimento di dieci ore che ha visto mobilitati ben 200 uomini, Gino Amleto Meneghetti è tratto in arresto, incriminato non solo dei ripetuti furti commessi ma anche della morte del commissario Waldemaro Doria, omicidio dal quale l’Arsenio Lupin toscano prenderà sempre le distanze perché “ladro sì ma assassino mai”. La fama di Meneghetti era ormai mondiale se addirittura un intellettuale del calibro di Albert Camus, incuriosito dalla conoscenza delle sue “imprese”, volle incontrarlo per ottenere un’intervista. Dopo diversi anni trascorsi in carcere tra torture e privazioni, Meneghetti è scarcerato nel 1947 grazie a un decreto presidenziale. Ormai anziano, Gino tenta in tutte le maniere di sopravvivere restando lontano dal furto ma, si sa, il lupo perde il pelo ma non il vizio e l’incorreggibile pisano riprende il suo “mestiere” arrivando a collezionare il suo ultimo arresto alla veneranda età di oltre novant’anni. Gino Amleto Meneghetti muore a San Paolo il 23 maggio 1976.
Meneghetti: fu vera fama?
Perché Meneghetti è diventato così popolare? Come mai, a dispetto dello scorrere del tempo, è rimasto così impresso nella memoria dei brasiliani? Il segreto del suo “successo” si può racchiudere in tre semplici principi “professionali”. Regola prima: mai privare di beni chi ha già poco di suo; regola seconda: derubare i ricchi, possibilmente se disonesti o antipatici; regola terza: mai utilizzare la violenza perché il furto è un’arte che non deve essere macchiata con lo spargimento di sangue. Nel Brasile che ha attraversato la prima e la seconda guerra mondiale, il regime di Vargas e la dittatura militare, il nome di Meneghetti è rimasto indissolubilmente legato al significato più “nobile” dell’essere ladro: derubare i ricchi e guadagnarsi il rispetto del popolo. Ma nel caso di questo “artista” toscano, la filosofia del furto si arricchisce anche di un significato sociale: “Rubando nelle case dei ricchi soddisfo la mia indole rivoluzionaria, scagliandomi contro l’egoismo e lo squilibrio sociale”. E non è certo un caso che i suoi due figli presero il nome di Spartaco e Luis Lenin. L’incredibile vita di Meneghetti ci consente anche di rileggere la storia dell’emigrazione italiana in Brasile, fatta di uomini e donne umili che attraversarono l’Oceano Atlantico in cerca di una vita migliore; gente che si trovò a ricostruire da zero le proprie vite e che dovette compiere un vero e proprio salto nel buio in un continente sconosciuto.
In fin dei conti, questa era la filosofia di vita di Gino Amleto Meneghetti il quale si ritrovò a sperimentare tante volte quella sensazione perché “solo se ti trovi con le spalle al muro, ti inventi il modo di volare. Ti prepari, prendi la rincorsa e poi stacchi i piedi da terra, senza sapere dove e come atterrerai. Un piccolo errore e sei morto. Quando hai spiccato il volo e sei in aria, non puoi più tornare indietro”.