Il 18 ottobre 1878 l’amnistia generale disposta da Umberto I di Savoia sospende l’applicazione della pena di morte nel Regno d’Italia. L’abolizione effettiva viene poi sancita nel 1889 con il nuovo codice penale firmato dal ministro della Giustizia Giuseppe Zanardelli.
Mussolini la reintroduce
Non è la fine della pena capitale. Essa infatti viene reintrodotta da Benito Mussolini nel 1926 per punire i responsabili di colpe “speciali” come quella di aver attentato alla vita o alla libertà della famiglia reale o del capo del governo e per vari reati contro lo stato. L’inversione di tendenza operata dal fascismo si completa con il Codice Rocco del 1930 che estende la pena di morte a una lunga serie di reati comuni. Dopo la caduta del fascismo e l’armistizio dell’8 settembre 1943 nell’Italia meridionale liberata dal dominio nazifascista il 10 agosto 1944 viene abolita per tutti i reati previsti dal codice Rocco, ma resta in vigore per i «reati fascisti e di collaborazione con i nazi-fascisti». Dopo la Liberazione il decreto luogotenenziale del 10 maggio 1945 la reintroduce come misura temporanea ed eccezionale per gravi reati.
Solo nel nuovo millennio scompare. Definitivamente?
L’ultima condanna capitale viene eseguita il 4 marzo 1947 a Basse di Stura (To) nei confronti di Francesco La Barbera, Giovanni Puleo e Giovanni D’Ignoti, autori di una strage a scopo di rapina. Nel 1948 la Costituzione Italiana elimina la pena di morte da quasi tutto l’ordinamento giuridico italiano, lasciandola in funzione solo nei casi previsti dalle leggi militari di guerra. Occorre arrivare al nuovo millennio per vederla scomparire totalmente. È la Legge Costituzionale 2 ottobre 2007, n. 1 lo strumento con il quale viene eliminata in via definitiva la pena di morte anche dalle leggi militari di guerra.