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La musica contro la guerra in Iraq

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Il 15 febbraio 2003 tocca l’apice la mobilitazione della musica contro l’idea di una guerra contro l’Iraq. All’’inizio erano pochi sassolini, poi, rotolando rotolando sono diventati una valanga inarrestabile che aumenta di volume ogni giorno di più.

Una mobilitazione senza precedenti

La mobilitazione dei musicisti contro la guerra, per numero e qualità delle adesioni, ha una straordinaria aggressività mediatica. Ogni giorno arrivano nuove e inaspettate adesioni. Tra gli ultimi arruolati ci sono nomi importanti come quelli di Madonna e Michael Jackson, in qualche modo indicativi della perdita di forza da parte dell’onda guerrafondaia in ogni settore della società. La musica diventa un pezzo significativo della politica alla quale regala anche un linguaggio nuovo. L’impegno degli artisti non si esaurisce con la fine del concerto ed essi nuotano nel movimento come pesci nell’acqua. Basta scorrere le loro dichiarazioni per capire che la simbiosi è totale. «Le cause principali del terrorismo sono l’economia americana e la dominazione militare nel Medio Oriente. Il vero asse del male è rappresentato dalla povertà e dalla corsa agli armamenti che rappresenta un buon profitto per poche grandi società». Parole di fuoco, più pesanti del piombo che stabilizza le ali dei bombardieri. Chi le ha pronunciate non è un esponente politico, ma il chitarrista Dave Morello ù. Come lui in migliaia si muovono nella stessa direzione, tanto che fare un elenco compiuto è pressoché impossibile.

Le cose non cambiano subito

La filosofia che ispira questo modo di agire trova un efficace riassunto nelle parole di Eddie Vedder, la voce dei Pearl Jam: «Le cose non cambiano subito. L’ho imparato nel corso di questi ultimi dieci anni. Ma la gente può fare qualcosa se impara che il destino del mondo non può essere lasciato nelle mani di chi detiene il potere. I risultati prima o poi arrivano». È questa consapevolezza di poter cambiare i destini del mondo la novità vera della mobilitazione pacifista della scena musicale e nessuno gioca a fare la primadonna. Nel sito dei Green Day si può leggere questa frase: «Chi non vuole una guerra in Iraq può firmare questa petizione… se conosci qualcuno a lavoro o a scuola che non sa neppure chi sono i Green Day, digli di firmare ugualmente…». Ciascuno sceglie di comunicare con un proprio stile. Un cantautore come Moby punta a far ragionare i suoi fans: «Perché Bush si accanisce solo ora contro Hussein? È un cattivo governante da almeno venti anni. Non è certo diventato più cattivo adesso. O forse dovremmo parlare degli interessi di Bush e di Cheney per il petrolio…». Sono alcuni significativi, esempi di una mobilitazione che utilizza le armi della creatività per bucare il muro di silenzio.

 

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".