Home C'era una volta La fatica di vivere uccide Pavese

La fatica di vivere uccide Pavese

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Il 27 Agosto 1950 lo scrittore Cesare Pavese, uno degli autori più amati del dopoguerra, muore suicida ingoiando una forte dose di barbiturici in una camera al secondo piano dell’Hotel Roma a Torino, a due passi dalla stazione di Porta Nuova.

Solo un’annotazione

Non lascia scritti, a parte un’annotazione, sulla prima pagina di una copia dei “Dialoghi con Leucò”, sul comodino al fianco del letto: «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi». Nato a Santo Stefano Belbo, un borgo delle Langhe in provincia di Cuneo, il 9 settembre 1908, dove il padre, che di mestiere fa il cancelliere del tribunale di Torino, ha un podere, resta orfano a sei anni. Dopo la morte del padre lui vive con la famiglia a Torino, ma le colline del suo paese natale restano per sempre impresse nella mente e nel cuore dello scrittore tanto da fondersi, come accaduto a Giovanni Pascoli, con la nostalgia dell’infanzia e della fanciullezza. Nel capoluogo piemontese compie l’intero ciclo di studi e al liceo ha come insegnante Augusto Monti, allievo di Gobetti e una delle figure più prestigiose della Torino antifascista. La sua figura rappresenta il primo contatto di Pavese con il mondo degli intellettuali torinese, dove spiccano personaggi come Leone Ginzburg, Vittorio Foa, Tullio Pinelli, Massimo Mila e Norberto Bobbio.

Una morte all’apice del successo

La sua morte arriva proprio all’apice del successo, nell’anno in cui ha ottenuto il Premio Strega uno dei più ambìti riconoscimenti letterari italiani, per il romanzo “La bella estate”. I giornali popolari guardano con stupore alla scomparsa, per molti versi inspiegabile di questo fragile e introverso autore, tra i più amati del dopoguerra, che diviene rapidamente un simbolo dell’eterna contraddizione tra impegno politico e disagio esistenziale. Al mondo della cultura, invece, il suicidio di Pavese, pur improvviso e doloroso, non appare così inaspettato. L’autore da tempo aveva manifestato il tormento esistenziale di chi sente sempre più come l’esistenza come una fatica. Un anno dopo la sua scomparsa l’editore Einaudi pubblicherà la raccolta di liriche “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”.

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".