Il 25 aprile 1944 sarebbe nato il brano La Badogliede, costruito sulla musica di un canto popolare toscano e su un ritornello che appartiene alla tradizione piemontese. Oggi è considerato un esempio prezioso di satira nata nella Resistenza. La leggenda vuole che sia stato composto proprio quel 25 aprile 1944, cioè un anno esatto prima del giorno della Liberazione, ma probabilmente è nato allo stesso modo in cui nascono tutte le canzoni popolare, cioè, come si direbbe oggi, “in progress”.
Due firme illustri e centinaia di ispiratori
Porta due firme illustri, quelle di Livio Bianco e Nuto Revelli, ma anche questa, a detta degli stessi autori, è una semplificazione. Materialmente i due sono stati i trascrittori. Hanno, cioè, aggiustato una sorta di elaborazione collettiva di un gruppo di partigiani che operavano alle Grange di Narbona. La critica politica nei confronti di Pietro Badoglio, protagonista della disonorevole fuga a Brindisi dopo aver firmato l’armistizio con gli alleati e la dichiarazione di guerra alla Germania, si fa caustica attraverso la narrazione delle sue vicende. Ne emerge un personaggio pavido, opportunista e del tutto indifferente al destino della popolazione. È singolare come il brano sia attraversato dallo stesso concetto che Nuto Revelli elaborerà in modo compiuto nei suoi libri, in particolare ne “La guerra dei poveri”: la Resistenza come guerra di popolo contro il nazifascismo ma anche come «guerra alla guerra» nata dalla necessità di non lasciare il proprio destino nelle mani di classi dirigenti ciniche e pronte a giocare qualunque carta sulla pelle delle popolazioni.
Satira e sarcasmo
L’uso della satira finisce per rendere ancora più aggressiva una canzone che ha la sua chiave nelle ultime tre strofe e non si limita alla critica sarcastica, ma indica una precisa volontà di cambiamento («Noi crepiamo sui monti d’Italia/mentre voi ve ne state tranquilli,/ma non crederci tanto imbecilli/da lasciarci di nuovo fregar») che coinvolge l’intera classe dirigente e l’essenza stessa della monarchia («No, per quante moine facciate/state certi, più non vi vogliamo,/dillo pure a quel gran ciarlatano/che sul trono vorrebbe restar» fino al finale liberatorio (Se Benito ci ha rotto le tasche/tu, Badoglio, ci hai rotto i coglioni/pei fascisti e pei vecchi cialtroni/in Italia più posto non c’è»). Il ritornello in piemontese, poi, finisce per essere una sorta di scioglilingua, quasi un nonsense in cui l’incalzare delle domande (l’hai mai detto? L’hai mai fatto? Si si, no no) alimenta l’impressione di incertezza, di tentennamento e di sostanziale pavidità del personaggio. I Gufi ne incideranno una versione di grande successo. Nel 1972 gli Stormy Six riprenderanno la melodia delle strofe e il giochino della descrizione satirica delle tappe della “carriera militare” per comporre la loro Birindelleide, dedicata all’ammiraglio Gino Birindelli, candidatosi alle elezioni politiche nelle liste neofasciste del Movimento Sociale Italiano.