Il 13 ottobre 1971 a San Francisco, in California, muore il pianista, compositore e direttore d’orchestra Joe Sullivan, il cui vero nome è Dennis Patrick Terence Joseph O’Sullivan.
Colpito dal jazz
Joe Sullivan nasce a Chicago, nell’Illinois, il 5 novembre 1906. Studia pianoforte presso il Chicago Conservatory of Music. Colpito dalle forme espressive del jazz, vi si dedica completamente fin dall’inizio degli anni Venti, prima con un proprio quartetto al Pine Point Resort nell’Indiana e quindi in un gruppo, l’Elmo Mack and His Purple Derbies, operante in un circuito di vaudeville. Dal 1925 al 1928 è prevalentemente a Chicago dove fa parte di varie orchestre locali. In quel periosdo suona anche presso varie stazioni radiofoniche. Trasferitosi a New York nel 1929 suona con Red Nichols all’Hollywood Restaurant e tra il 1931 e il 1932 con Roger W. Kahn e con i Mound City Blue Blowers di Red McKenzie. Nei due anni successivi milita nel gruppo del cantante Russ Columbo, in quello di Ozzie Nelson e di nuovo in quello di Roger W. Kahn. Dopo un breve periodo trascorso all’Onyx Club della 52a Strada, si trasferisce in California, dove resta per oltre due anni, impegnato principalmente in orchestre di studio. È di questo periodo la sua collaborazione con Bing Crosby che lo posrta con sé anche a New York nel 1936. Nell’orchestra di Crosby resta meno di un anno a causa di una grave affezione polmonare che lo costringe all’inattività per molti mesi.
La popolarità, il successo e i problemi di salute
Ristabilitosi viene scritturato da Bob Crosby, come solista. Nel 1939 forma un proprio gruppo col quale si esibisce al Café Society di New York, al Nick’s del Greenwich Village e al Famous Door della 52a Strada. Nel 1943 si trasferisce Los Angeles, dove suona allo Swanee Inn e due anni dopo torna a Chicago, all’Hotel Sherman esibendosi in duo con il pianista Meade Lux Lewis e poi con Eddie Condon. Nel 1952 si unisce per un breve periodo agli All Stars di Louis Armstrong. Nei primi anni Sessanta riduce l’attività professionale a causa delle cattive condizioni di salute, fino a interromperla quasi del tutto. È considerato uno dei maggiori esponenti del cosiddetto Chicago Style, ma il suo pianismo spazia anche in altri campi, dall’honky-tonk allo stride piano, dal blues al dixieland, fino al piano-bar degli ultimi tempi della sua carriera. Dotato di un tocco gagliardo, di una solida mano sinistra e di una destra agile e ricca di inventiva e di colore, sa alternare a trascinanti brani solistici di puro barrelhouse, esecuzioni piene di grazia delicata. Meno appariscenti sono le sue prestazioni nelle grandi orchestre, alle quali preferisce le piccole formazioni.