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Il “Viaggio in Italia” di Alice

Il 10 ottobre 2003 esce Viaggio in Italia un album che segna il ritorno di Alice sulla scena discografica a tre anni di distanza da Personal juke-box, il suo ultimo lavoro in studio.

Canzoni senza innocenza

In questo album Alice, che non ha mai nascosto la passione per le «canzoni in cui il valore della parola è in primo piano», si misura con quattordici brani nati dall’ispirazione e dalla genialità di grandi autori. Chi la conosce bene sa che con lei anche le canzoni più conosciute cambiano forma, perdono l’innocenza originaria e diventano intrigantemente adulte. Ciò non è dovuto soltanto alle indiscusse capacità vocali e all’intelligenza esecutiva, ma alla sua capacità di liberarne le potenzialità nascoste, di regalare loro nuove ali per farle volare in cieli diversi da quelli per cui erano state immaginate. La cantante e il suo produttore Francesco Messina definiscono il disco «un nuovo viaggio nella musica italiana d’autore» nato da «una ritrovata passione per la bellezza della nostra lingua» che finisce per incontrarsi con «il patrimonio poetico e musicale di diverse culture».

Certi testi fanno danni

Tra i quattordici brani dell’album, però, ci sono anche Islands dei King Crimson e Golden hair, scritta da Syd Barrett su una poesia di James Joyce. Che cosa c’entrano con il Viaggio in Italia? La risposta di Alice è spiritosa «In questo caso il “viaggio in Italia” è quello compiuto da Tim Bowness, il vocalist dei No-Man, per venire a cantarle con me». Il titolo del disco è una citazione di un opera di Goethe. Il richiamo non è casuale: «un po’ come lui, infatti, sono andata a vedere, a studiare alcuni aspetti del nostro paese attraverso le pagine dei nostri più grandi autori». Se prevedibili, pur se non scontate sembrano le scelte di brani targati Guccini, De André, Fossati, De Gregori, o del Battisti più problematico del periodo con Pasquale Panella e dell’amico e antico mentore Battiato, meno usuali appaiono l’inserimento di due brani inediti con testi di Pier Paolo Pasolini musicati da Mino Di Martino e la ripresa di Non insegnate ai bambini, la canzone che molti considerano il “testamento spirituale” di Giorgio Gaber. Per una cantante pop, come lei si ostina a definirsi, cercare la poesia delle parole è una scelta di igiene mentale e professionale in tempi in cui la musica fatica sempre più a regalare parole. «È avvilente ascoltare canzoni che non significano nulla. Certi testi non sono soltanto innocui: fanno danni».

 

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