Home C'era una volta Il Tricolore della Repubblica Rivoluzionaria Cispadana

Il Tricolore della Repubblica Rivoluzionaria Cispadana

SHARE

Il 7 gennaio 1797 il tricolore bianco, rosso e verde, diventa la bandiera della Repubblica Cispadana nata sull’onda delle aspettative d’uguaglianza e di libertà disseminate in Europa dalla Rivoluzione Francese.

Verde rossa e bianca

Il Congresso della Repubblica Cispadana, riunito in seduta plenaria a Reggio Emilia, sceglie la bandiera “tricolore, verde, rossa e bianca” come “insegna di sovranità” su proposta di Giuseppe Compagnoni di Lugo, deputato per il collegio di Ferrara. La comunicazione ufficiale, datata 28 gennaio 1797 e firmata dai segretari Masi, Barizzini, Sacchetti e Remondini così recita: «Cittadini, nella seduta in Reggio del giorno 7 gennaio corrente il Congresso decretò: 1° Che lo stemma della Repubblica Cispadana sia innalzato in tutti quei luoghi nei quali è solito che si tenga lo stemma della sovranità. 2° Che sia universale lo Stendardo e la Bandiera Cispadana di tre colori, verde, bianco e rosso, col turcasso. 3° Che li predetti tre colori si usino nella coccarda Cispadana da portarsi da tutti. 4° Che alla testa di tutti gli Atti pubblici si ponga l’intestatura “Repubblica Cispadana una ed indivisibile”…» Il turcasso, cui fa riferimento l’editto come simbolo della Repubblica, è un faretra contenente quattro frecce, a simboleggiare i quattro governi federati di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio, ma con lo spazio per le altre che si sarebbero dovute aggiungere («…un turcasso con quattro freccie e con li forami per le altre, ciò che dinota il desiderio di un’unione più estesa…») secondo quanto approvato dal Congresso di Reggio Emilia il 6 gennaio 1797 su proposta del deputato Aldrovandi.

Napoleone non vede di buon occhio la spinta democratica

In realtà il tricolore era già stato adottato qualche mese prima nel simbolo dei combattenti italiani della Legione Lombarda e quella Italica, con l’autorizzazione di Napoleone, ma con la decisione della Repubblica Cispadana esso diventa per la prima volta bandiera ed emblema di uno stato. In esso si fondono le aspettative di democrazia, d’indipendenza e di unità dei patrioti italiani, tanto che qualche mese viene adottato anche dai governi democratici di Bergamo e Brescia, e successivamente dalla Repubblica Cisalpina. Diverso è il destino delle altre repubbliche democratiche che nascono fra il 1797 ed il 1799 a Venezia, Genova, Roma e Napoli, cui la Francia impedisce di fondersi con la Cisalpina e di aderire al concetto di unità, che escludono così il verde dalle loro bandiere. Del resto Napoleone non vede di buon occhio una possibile spinta democratica, indipendentista e unitaria dell’Italia, tanto che il 28 dicembre 1796 così scrive al Direttorio: «In questo momento in Lombardia ci sono tre correnti. La prima che si lascia guidare dalla Francia, la seconda che vuole la libertà ed ha impazienza di realizzare il suo desiderio, la terza amica degli austriaci e nemica della Francia. Io incoraggio la prima, freno la seconda e reprimo la terza. Anche nelle repubbliche cispadane sono tre le tendenze: una simpatizzante dei vecchi governi, una favorevole ad una costituzione indipendente ma un po’ aristocratica e una terza apertamente affascinata dalla costituzione francese e dall’idea della democrazia. In questo caso reprimo la prima, sostengo la seconda e modero la terza». Il rapporto tra i rivoluzionari italiani e quelli francesi, pur nell’ambito di una sostanziale correttezza e lealtà, è caratterizzato da reciproca diffidenza sulle questioni dell’indipendenza e dell’unità d’Italia, che lascia tiepidi, quando non ostili, i transalpini.

 

Previous articleJon Eberson, la chitarra più famosa del jazz norvegese
Next articleRica Pereno, una delle Stars
Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".