Da non perdere la presentazione del volume “Il male in bocca. La lunga storia di un’iconografia dimenticata” di Marco Bussagli (Medusa edizioni) che si svolgerà mercoledì 8 maggio alle ore 17:30 a Palazzo Firenze (piazza di Firenze, 27 – Roma) nella sede della Società Dante Alighieri.
Dopo i saluti del Consigliere centrale della Dante, Salvatore Italia, interverranno oltre all’Autore, Michele Dolz, artista e teologo, Rodolfo Papa, storico e filosofo dell’arte. Per confermare la partecipazione in presenza, è possibile registrarsi su EventBrite oppure scrivere una e-mail a eventi@dante.global –
A dieci anni di distanza dalla pubblicazione de “I denti di Michelangelo” (Medusa edizioni 2014) lo storico dell’arte Marco Bussagli torna sul tema del mesiodens, ovvero il “dente bastardo”, come riporta l’autore essere stato definito così dal medico, umanista e scienziato quattrocentesco Michele Savonarola. Questa presente fatica ha da pochi mesi raggiunto le stampe con l’evocativo titolo “Il male in bocca. La lunga storia di un’iconografia dimenticata”, ricerca che è durata quindi dall’ottobre 2014, quando Maurizio Cecchetti ha pubblicato l’articolo su Bramantino su Avvenire, fino al 19 novembre 2023.
Basterebbe sapere questo per essere stimolati ad intraprendere la lettura di questo volume che, con la testimonianza della sottoscritta, non solo è utile per la ricchezza dei riferimenti storici ai quali si collega, ma rappresenta un percorso di puro godimento intellettuale, in un’epoca come la nostra dove molti testi, viaggiando sul web, presentano in calce il tempo di lettura, per incoraggiare una pratica che sembra caduta in disuso.
Ebbene possiamo dire che il lettore invece si sentirà libero e stimolato di prendersi il proprio tempo per andare avanti e indietro all’interno di una storia che ha tutte le caratteristiche di un giallo, dove il cosiddetto “dente bastardo”, ovvero mesiodens qui evocato, appartenente ad una rara ma possibile realtà anatomica umana, sembra essere stato registrato in figurazioni in vari contesti geografici, rappresentativi di svariate epoche storiche, anche molto distanti tra loro (come dimostra l’autore nella sua indagine) andando a rappresentare coniugazioni insospettabili ed attribuzione di significazioni variabili. Tutte le immagini sono caratterizzate da ambiguità, ma di questo caso l’autore non ha trovato chiarificatrici testimonianze scritte, ma solo inequivocabili indizi visivi di esistenza, e nel contempo ha notato quel particolare progressivo “inabissarsi” del colpevole nel contesto, insieme ad un imbarazzo che sembra aver portato, nel tempo, il mesiodens all’invisibilità.
Per farci capire, l’autore riparte dalla genesi del suo primo sull’argomento, I denti di Michelangelo, scritto partendo da quando non immaginava che ci sarebbe stato un ulteriore e voluminoso seguito a quella ricerca, con la meraviglia della scoperta iniziale, fattagli notare da altri studiosi:
- L’argomento del libro era dirompente perché nessuno si era mai accorto che il genio di Caprese aveva utilizzato nelle sue opere – sia scultoree, sia pittoriche –, un’anomalia dentaria, realmente esistente, che va sotto la denominazione scientifica di mesiodens e che consiste nella presenza di un incisivo centrale in mezzo ai quattro già previsti nell’arcata ortodontica. La definizione corrente per questa irregolarità corrisponde, infatti, alla locuzione popolare di “quinto incisivo” e può comparire sia nell’arcata mascellare sia in quella mandibolare, oppure in entrambi. La cultura medica del XV e XVI secolo – come ho avuto modo di dimostrare nel mio primo contributo – era perfettamente a conoscenza di tale deformazione (ad iniziare da Realdo Colombo, amico e sodale di Michelangelo) cui attribuì un valore negativo, proprio come fece il grande artista, il quale, con assoluta coerenza, ne fece un attributo iconografico per tutti i demoni e i peccatori che avevano una posa utile a mostrarlo, sulla grande parete della Cappella Sistina occupata dal Giudizio Universale. Fu infatti sui ponteggi costruiti per il restauro di quel capolavoro che in un freddo giorno d’inverno, il 9 gennaio 1993, Maurizio Rossi (braccio destro del grande Gianluigi Colalucci – di cui tutti piangiamo la scomparsa –, restauratore capo del Vaticano, che si stava misurando con i titani dell’affresco), mi fece notare quell’anomalo particolare odontoiatrico che bene campeggiava nella bocca dei diavolacci e dei dannati.
Alla conclusione dei lavori, dopo la presentazione al mondo di quello che, insieme alla volta della Sistina, era da tutti – a ragione – ritenuto il restauro del secolo, ero certo di veder pubblicata questa straordinaria e inaspettata scoperta nei vari resoconti relativi all’intervento, se non – addirittura – in un precipuo contributo dedicato. Invece, dopo aver potuto consultare praticamente tutto quel che era uscito sull’argomento, dovetti prendere atto che i restauratori avevano deciso di non dar conto della loro scoperta (…)
Non solo i restauratori non vollero vedere e non segnalarono, scrive l’autore, ma non lo fecero nemmeno i fotografi, inoltre riporta che – nella grande mostra dedicata nel 2011 al Rinascimento a Roma Nel segno di Michelangelo e Raffaello – avendo avuto l’occasione più unica che rara di esaminare a pochi centimetri di distanza, la monumentale copia su tavola del Giudizio Universale sistino realizzata da Marcello Venusti e conservata oggi a Napoli, al Museo di Capodimonte, ebbe a constatare che l’artista cortonese – sebbene fosse uno degli allievi prediletti del Buonarroti, li aveva corretti uno per uno riducendo ad ortodontiche quelle che erano arcate dentarie anomale, oppure eludendo il problema, ‘affogando’ i denti nell’ombra –
Bussagli ci introduce quindi in una storia (dell’arte) vista attraverso un’anomalia, un indizio, verso la costruzione di quello che si potrà chiamare un “simbolo” attraverso argomentazioni che partono fin dal primo capitolo del libro intitolato – Anatomia, architettura e cosmologia: breve storia di un pensiero unico, fra proporzione e bellezza – Per proseguire poi con – Simmetria, bellezza e bontà da Policleto a Dürer. Grazia dell’anima e del corpo: la kalokagathía – Impossibile da riassumere, ma fondamentale per capire quanto questo “modificatore” indesiderato ed anomalo della percezione della simmetria bilaterale del corpo, quindi della bellezza e della bontà (dalla cultura greca a Leon Battista Alberti) possa aver minando alla radice l’armonia della figura umana.
Ma Bussagli non si accontenta, cita anche ricerche che riguardano i denti in ambito preistorico ed etnografico. C’è infatti una costante simbolica che si costruisce intorno alla bocca ed i denti, dal sorriso al morso, formata da ciò che caratterizza l’essere umano che tende a prendere distanza dall’animale, o meglio dalle sue proprie pulsioni istintive, cercando di controllare o a ritualizzare i rapporti sociali, anche con dolorose pratiche di iniziazione e/o identitarie. Quindi si capisce meglio come, nella simbologia del corpo, questa presenza possa essere stato indizio imbarazzante, osceno, poiché unico là in mezzo, sulla faccia che mostriamo agli altri che alla fine sono il nostro unico specchio.
Dice l’autore che lo sviluppo dell’iconografia inizia nel V secolo a.C. con l’immagine della Gorgone che ha il quinto incisivo ed occupa la nicchia simbolica della morte (perché pietrifica) inoltre il nome di Medusa, è il participio presente di medo che significa «proteggo», ma pure «domino». Allora la morte è colei che domina, ma utilizzata sulle monete, sulle kylix, le anfore o sugli acroteri dei templi, ricopre un valore apotropaico e «protegge». Qui allora aggiungo, come ci ha insegnato Freud nel suo testo – Significato antitetico delle parole primitive del 1910 – che questa immagine, come le immagini dei sogni ed in particolari condizioni certe parole, produce proprio questo doppio senso antitetico, cosi come la presenza del mesiodents va a rappresentare anche altre significazioni, come stupidità e istintività in figure come sileni, centauri e ciclopi, ma non in tutti, come per esempio, cita Bussagli:
- Dobbiamo, però, rilevare due aspetti contrastanti di tali personaggi mitologici. Da una parte, ci sono centauri sapienti come Chirone che, addirittura, inizia Asclepio alla medicina e, dall’altra, ci sono i «Centauri pelosi» che furono «per vendetta» cacciati da Zeus dal monte Pelio (patria dello stesso Chirone) a seguito degli alterchi poi degenerati nella guerra con i Lapiti il giorno del matrimonio fra Ippodamia e Piritoo, come ci racconta l’Iliade. Se teniamo conto delle ipotetiche, ma certo suggestive osservazioni di Brigitte Schiffler che identifica i centauri saggi come Folo e Chirone raffigurati con il treno anteriore del corpo in forma umana, gambe incluse, e quello posteriore equino, con tanto di groppa, dobbiamo riconoscere necessariamente come tale la ricordata statuetta del centauro di Villa Giulia. (pag 69).
Prosegue Bussagli, che l’iconografia del quinto incisivo viene accolta in ambito medievale come caratteristica di demoni nel pantheon cristiano, dei leoni che simboleggiano il male e dai peccatori. Nel libro c’è un’ampia e godibile panoramica che va dagli affreschi del Cappellone degli Spagnoli alla scultura dei chiostri, incluso quello di Fossanova, fino all’impiego di figure demoniache con il quinto incisivo nei doccioni delle cattedrali (perfino a Milano) nonché le miniature delle Ore di Saint-Omer, ma si può ricordare l’ambone di Ravello. Qui non solo i leoni e i peccatori che stanno sotto i piedi dell’officiante hanno il quinto incisivo, ma compare anche nella celebre testa di Sigilgaita che rappresenta la “Patria Federiciana” che protegge i suoi abitanti. L’iconografia del quinto incisivo prosegue nel Rinascimento come abbiamo citato sopra e ha un grande successo grazie a Michelangelo che, oltre all’uso teologico e simbolico che ne fa, lo trasforma anche in un elemento che può apparire decorativo, come accade nel pavimento della Biblioteca Laurenziana. È questo il motivo per il quale lo vediamo comparire nelle teste che decorano le chiavi di volta dei portoni, oppure sui battenti lignei degli stessi.
Impossibile accennare ai vari ambiti, come quello fiammingo e del nord Europa, ma si può dire che, accanto ad un impiego per così dire, laico del quinto incisivo, un altro altrettanto importante ha profondo valore teologico e religioso. È quello che fa comparire il quinto incisivo nella bocca del Cristo. Infatti, a differenza di quel che si riteneva al momento della pubblicazione del primo libro (I denti di Michelangelo. Un caso iconografico – 2014) quello della Pietà di Michelangelo non è l’unico caso. Al contrario, potrebbe definirsi la punta di un iceberg, giacché molti sono gli esempi nell’ambito della galassia iconografica che raffigura il Redentore, così rappresentato non solo nelle immagini di Pietà, ma anche nel Crocifisso e nel Cristo risorto di Bramantino.
Sono stati infatti molti gli artisti eccellenti che hanno abbracciato questa iconografia a cominciare da Michelangelo che la ripete tanto nella Pietà Bandni e in quella di Palestrina; ma pure nel disegno del Crocifisso del British Museum, dove ha il quinto incisivo pure il cranio di Adamo che sta ai piedi della croce …
Molti sono anche gli articoli che in questi mesi sono usciti sull’interessante libro di Bussagli, a questo proposito segnalo l’articolo di Sergio Rossi con interessanti confronti con l’arte di Caravaggio – https://www.aboutartonline.com/michelangelo-caravaggio-e-lanomalia-del-quinto-incisivo-riflessioni-dal-volume-di-marco-bussagli-i-denti-di-michelangelo
Concludendo, una serie interessantissima di altri esempi portano ad una sola conclusione simbolica che riguarda infine proprio il senso (almeno per i cristiani) della salvezza degli uomini dal male, ad opera del Cristo che l’ha preso su di sé, opera salvifica evidenziata dalla sua bocca, segnata dalla sofferenza.
Resta ancora da dire qualcosa su quello che riguarda il nostro non riuscire a vedere proprio ciò che sembra evidente. Parafrasando il racconto di E. A. Poe, “La Lettera Rubata”, ripresa dal celebre Seminario di J. Lacan a significare che il miglior nascondiglio della verità del nostro inconscio è proprio posto sotto i nostri occhi, vorrei sottolineare essere questa la vera sfida della conoscenza e dell’emancipazione dal male di vivere.