Il 14 gennaio 1968 un terribile terremoto scuote la Sicilia e rade al suolo quasi tutti i paesi della Valle del Belice, un’area rurale della Sicilia occidentale.
Promesse mai mantenute e soldi mai arrivati
Il sisma causa il crollo di interi paesi e lascia una scia di morte e distruzione. I centri più colpiti sono Gibellina, Salaparuta, Poggioreale, Santa Ninfa, Montevago e Partanna. Alcuni di questi paesi vengono completamente rasi al suolo. Si contano oltre trecento morti, migliaia di feriti e più di centocinquantamila senza tetto. Nei giorni immediatamente successivi le autorità di governo ai vari livelli assumono impegni di immediata ricostruzione destinati a non essere mai completamente mantenuti. Per le popolazioni colpite inizia un lungo calvario irto di ostacoli burocratici, di promesse mai mantenute e di soldi stanziati e mai arrivati a destinazione.
Il Cretto di Burri
La risposta delle istituzioni fin dall’inizio appare lenta e inadeguata. Gli sfollati vengono costretti a vivere per anni in baracche precarie, mentre i tempi della ricostruzione si prolungano a dismisura. Questo evento segna profondamente il territorio e ponte profondi interrogativi sulla gestione delle emergenze e sull’abbandono delle aree interne del Sud Italia. Nonostante il dolore e le difficoltà, il terremoto del Belice ha lasciato però anche un’eredità culturale. Gibellina, per esempio, è stata ricostruita in una nuova sede e arricchita da opere d’arte contemporanea, tra cui il famoso “Cretto di Burri”, un’opera di land art realizzata sulle macerie del vecchio paese e divenuta un simbolo della forza di una comunità capace di trasformare il lutto in espressione artistica e memoria collettiva.