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Il feroce monarchico Bava

«Alle grida strazianti e dolenti/di una folla che pan domandava/il feroce monarchico Bava/gli affamati col piombo sfamò…» È il 6 maggio 1898, un venerdì, e nelle strade del capoluogo lombardo scendono migliaia di manifestanti. Si dice siano almeno quarantamila.

Ventimila soldati in assetto di guerra

Contro i manifestanti vengono schierati ventimila soldati in assetto di guerra, sotto il comando di Fiorenzo Bava Beccaris, nominato regio commissario con pieni poteri. I primi morti restano sul terreno nel pomeriggio quando i soldati sparano contro gli operai che assediano la caserma del Trotter. Il giorno dopo, 7 maggio, di fronte alla proclamazione dello sciopero generale Bava Beccaris dichiara lo stato d’assedio e scatena le truppe. I militari avanzano sparando e la popolazione risponde lanciando tegole e mattoni dalle finestre e dai tetti. I tram vengono fatti deragliare per ostacolare le cariche della cavalleria e dei bersaglieri. Si erigono barricate a Porta Venezia, Porta Vittoria, Porta Romana, Porta Ticinese e Porta Garibaldi mentre la cavalleria imperversa sui Bastioni con le sciabole sguainate. Viene anche dato l’ordine di sparare alle postazioni di cannoni attestate a Porta Genova, a S. Eustorgio e al Castello. I manifestanti resistono come possono ancora per due giorni.

Una vittoria nel sangue

La battaglia si conclude lunedì 9 quando i bersaglieri espugnano l’ultima barricata alla Foppa. Mentre Bava Beccaris, in Prefettura, sta telegrafando a Roma la notizia della sua “vittoria”, i carri della Croce Rossa stanno ancora setacciando le strade e le piazze della città per raccogliere morti e feriti. A chi chiedeva pane si è risposto con il piombo. Pace è fatta. Un mese dopo Re Umberto concederà al Bava Beccaris la Croce di Grand’Ufficiale «per il grande servizio reso alle istituzioni e alla civiltà». Per lui non sarà l’ultimo atto della vicenda. Due anni dopo un anarchico, Gaetano Bresci, arriverà dagli Stati Uniti per vendicare con l’uccisione del re i morti di quel giorno. Bava Beccaris, invece, vivrà a lungo e morirà a novantatré anni nel 1924. La memoria della sua sanguinosa repressione sopravviverà anche grazie a un canto che ricorderà per sempre « De’ non rider sabauda marmaglia/se il fucile à domato i ribelli/se i fratelli ànno ucciso i fratelli/sul tuo capo quel sangue cadrà».

 

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