Diciamolo subito, Il Cacciatore e la Regina di Ghiaccio di Cedric Nicolas Troyan, al tempo stesso prequel e spin off delle vicende di Biancaneve, che peraltro nel film non compare, è godibile come un giro in giostra ma non resterà negli annali, probabilmente perché i personaggi e le vicende che rappresenta hanno l’impatto visivo di un film ad alto budget ma sono privi di un’identità peculiare e riconoscibile.
C’erano una volta le fiabe della Disney. Sarebbe questo il giusto inizio del racconto di come le favole hanno raggiunto il grande schermo, partendo dal folclore popolare e approdando al cinema senza mai smettere di farci sognare ad occhi aperti.
La favola, come è noto, è parente del mito: questo perché attraverso il racconto delle vicende dei protagonisti codifica determinati comportamenti, trasmette modelli relazionali e diffonde valori positivi. Ecco perché le favole godono di una tale longevità, ecco perché le conosciamo tutti, bambini di ieri e bambini di oggi: fanno parte della nostra cultura e del nostro immaginario, e contengono valori universali.
Discorso interessante è anche prendere in considerazione l’esportabilità di alcuni modelli narrativi proprio in virtù della comunanza, in contesti nazionali simili, dei valori e dell’idea di intrattenimento legata al racconto: si potrebbe affermare che le favole sono i primi format ad essere stati inventati. Così come vale la pena riflettere su come da qualche tempo a questa parte lo storytelling – ovvero l’abilità di conquistare l’attenzione dell’ascoltatore riconducendo l’oggetto della comunicazione ad uno schema narrativo – sia diventato centrale in tanti ambiti, dalla televisione alla politica, riportando prepotentemente alla ribalta l’arte del racconto.
Il rapporto tra favole e cinema e l’eterna alleanza
Riguardo al rapporto tra favole e cinema, si direbbe che la relazione tra queste due modalità di racconto è innanzitutto funzionale: se il cinema è racconto per immagini, allora non esiste strumento migliore per dare concretezza alla favola, la cui caratteristica principale è mettere in moto l’immaginazione e plasmare l’immaginario. La sfida che il cinema di animazione raccoglie e vince è proprio quella di riuscire a rendere reali non solo le sembianze dei protagonisti delle favole più famose, ma soprattutto le mirabolanti visioni che esse ci suggeriscono. Disney riesce addirittura a sostituirsi alla nostra capacità di “disegnare” con la mente quei protagonisti dandogli un aspetto definitivo, in maniera tale che per diverse generazioni di spettatori è impossibile distinguere il personaggio di Biancaneve dal disegno di Biancaneve.
Ma i tempi sono inarrestabili, e se le favole sono bloccate in un tempo eternamente uguale a se stesso, al contrario l’industria dell’entertainment corre veloce, per cercare di tenere il passo con l’evoluzione della società. Il primo decisivo cambiamento fu il passaggio dall’animazione “matita alla mano” all’animazione digitale, quando nel 1995 la Pixar di Steve Jobs spianò la strada verso il futuro lanciando insieme alla Disney, Toy Story. Per lungo tempo le favole furono accantonate, i loro valori si potevano affidare ad altre storie e ad altri personaggi, non necessariamente umani, contando su una libertà creativa e realizzativa prima inimmaginabile grazie alla grafica computerizzata. La carica propulsiva di questa novità fu travolgente e, naturalmente, non riguardò soltanto il cinema di animazione ma tutto il cinema, in maniera irreversibile.
Ma ecco arrivato il momento del ripensamento: alla luce degli straordinari risultati che si possono ottenere integrando attori in carne e ossa ed effetti visivi, perchè non dare nuova, sfolgorante vita alle care vecchie favole catapultandole dalla pagina scritta alla meraviglia del 3D? Quale occasione migliore per dare finalmente allo spettatore la possibilità di entrare dentro le sue favole preferite? E noi, come bambini scodinzolanti al solo pensiero, non ci tiriamo di certo indietro.
Quello che succede, però, è che il regno dell’industria delle favole non ha più soltanto un re, bensì tanti troni – per rifarmi ad un altro must del genere fantasy, Game Of Thrones – e dall’insuperato Signore degli Anelli passando per Harry Potter non si smette mai, per la gioia degli amanti del genere come me, di dare forme nuove a questo grande reame fiabesco, anche a costo di discostarsi, e non poco, dalle favole come le conosciamo tutti. La stessa Disney, oltre al remake cinematografico dei suoi Classici di animazione, sceglie di realizzare spin off delle favole più amate, come nel caso di Maleficent (2014) che racconta la favola della Bella Addormentata dal punto di vista della matrigna, mentre la saga del Cacciatore – prodotta dalla Universal e di cui fanno parte sia Biancaneve e il Cacciatore (2012) che Il Cacciatore e la Regina di Ghiaccio – sceglie di affidare il peso della narrazione ad un personaggio che nella versione originale della favola non è affatto primario.
Il punto è che questo spostamento dell’asse narrativo non trova poi riscontro nella narrazione stessa, perchè il povero Cacciatore (Chris Hemsworth) in entrambi i film soccombe decisamente al cospetto dei personaggi femminili: nel primo film Kristen Stewart, a cui il ruolo della Biancaneve ribelle riesce benissimo, e nell’ultimo la ritrovata Charlize Theron (Ravenna), la più bella del reame, nonché unica vera “cattiva” della storia, e sua sorella Freya, la Regina di Ghiaccio interpretata da Emily Blunt, che nonostante sia citata nel titolo è solo una sbiadita copia di Ravenna.
Queste versioni non tradizionali delle favole hanno la caratteristica di virare la storia in chiave action, introducendo sequenze di combattimento e fughe adrenaliniche – è il caso del duello finale tra Biancaneve e Ravenna nel primo film o dell’attacco dei Goblin nell’ultimo – ma senza rinunciare alla centralità dei personaggi femminili. Provate a pensare alle favole che conoscete e vi accorgerete che le prime che vi vengono in mente hanno donne per protagoniste. Questo perché le favole sono il prodotto di un archetipo in cui l’uomo è protagonista assoluto della realtà sociale, mentre alla donna viene concessa una possibilità di riscatto soltanto in un universo simbolico, quindi non reale. Nelle favole i ruoli si ribaltano: l’eroina femminile vive una sostanziale evoluzione, agisce per cambiare il suo destino, mentre il principe azzurro sta a guardare. Oggi che del principe azzurro, fortunatamente, le donne sembrano poter fare a meno, ma ancora la parità dei ruoli nel tessuto sociale non può dirsi pienamente raggiunta, ecco che ancora una volta le favole, quelle di nuova generazione, ci consegnano delle wonder women, esemplari femminili corazzati, pronte a tutto per raggiungere i loro obiettivi.
Ma attenzione al sottotesto: nella favola che il film ci racconta, nonostante come sempre venga celebrata la vittoria dell’Amore sul Male, le donne di potere sono quelle a cui è stata negata l’esperienza della maternità.