Home Green World I pesticidi uccidono parassiti e…uomini

I pesticidi uccidono parassiti e…uomini

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Le vittime (umane) sono 220mila all’anno e la produzione di vino richiede, da sola, l’utilizzo del 50% dei pesticidi prodotti nel mondo. L’Italia prova a ridurne l’utilizzo, agendo sulla genetica delle viti “Negli Stati Uniti, gli esperti di salute stanno pensando di rivedere le linee guida nutrizionali in nome della sostenibilità”: lo ha detto Dorothy Klimis-Zacas, docente di Nutrizione clinica all’Università del Maine.

I pesticidi, un rischio per la salute

In Italia lo sta facendo l’Inran, ma cosa significa? Il concetto diventa subito chiarissimo se si considera che – secondo i dati Oms – i morti per pesticidi sono 220mila l’anno, superiori ai morti di malaria. Ecco perché i nutrizionisti nel mondo stanno inserendo la sostenibilità nelle linee guida di un’alimentazione corretta. Utilizzare pesticidi e fertilizzanti fa male al pianeta e fa male alla salute.

“Tra tutti i prodotti agricoli, la vite è quella che ha più bisogno di pesticidi – spiega Stella Grando, del Centro di ricerca e innovazione Edmund Mach, parte del progetto Vitaceae -. Le viti infatti necessitano da sole del 50% di tutti i pesticidi utilizzati nel mondo”. Il problema ci riguarda da vicino, essendo gli italiani grandi consumatori di vino, secondi produttori e primi esportatori al mondo, come pure tra i primi produttori di uva da tavola. L’uva – è poi importante da considerare – è tra gli alimenti che maggiormente assorbono i pesticidi.

Più di 220mila decessi l’anno

“In Trentino lavoriamo prima di tutto tenendo corsi di formazione agli agricoltori e viticoltori, forniamo consulenza pubblica e abbiamo già raggiunto risultati notevoli. La conoscenza, da sola, ha portato una piccola rivoluzione tra di loro, che si sono già auto-imposti di evitare l’utilizzo di alcune sostanze particolarmente pericolose, al momento ancora ammesse, ma che probabilmente non lo saranno più a breve”, continua Grando.

Il suo gruppo di ricerca studia la genetica e la diagnostica delle viti, permette di monitorare la diversità, analizza le funzioni di gruppi di microbi molto importanti per la produzione e la difesa delle piante.

“La vite italiana è attaccata da molti funghi – prosegue – e noi cerchiamo il modo di modificare il Dna della pianta in modo da renderla abbastanza forte per resistere al contagio e difendersi da sola”. In passato si era già tentata questa strada, ma i progetti furono abbandonati perché le qualità di uva ottenute non erano all’altezza dello standard italiano, e i costi erano troppo elevati. “Oggi viviamo un enfasi nuova in questo campo di ricerca. Negli ultimi 10 anni, sono partiti nuovi tentativi di creare piante tolleranti a funghi e malattie, e noi assistiamo questo miglioramento genetico, con una priorità: mantenere alta la qualità delle nostre uve”.

Il problema principale però, resta la resistenza dei viticoltori. “Anche se abbiamo ottenuto risultati incoraggianti, è difficile entrare e provare a modificare la cultura dominante di un settore così antico e tradizionalista, che male accetta il cambiamento. Cerchiamo di fare breccia nella mentalità delle persone, questa è al momento la sfida principale per noi, per tentare di diffondere la cultura di un vino sano, biologico e sostenibile”.