Ironicamente, l’industria dei biocombustibili viene tuttora promossa dalle corporazioni e dai governi come una sostenibile, ecocompatibile alternativa ai combustibili fossili.
In realtà, è solo un aspetto formalmente differente dello stesso sconsiderato sfruttamento delle risorse che deriva dall’inappagabile desiderio di guadagni delle élite private attraverso un modello di produzione capitalistico. L’industria dei biocarburanti deriva da un matrimonio tra le imprese del settore agro-alimentare e le grandi aziende petrolifere, che sono perfettamente a conoscenza del fatto che questo nuovo business sta infliggendo una distruzione e un livello di sofferenza assolute.
Negli ultimi cinque anni, il mondo ha assistito all’impennata dei prezzi degli alimenti, un fenomeno che sta mettendo altri milioni di persone a rischio fame, perché non possono più permettersi di comprare il cibo. È un segnale sconvolgente di un sistema economico che pone l’imperativo del profitto privato al di sopra della sopravvivenza quotidiana degli esseri umani. Il primo fattore che ha provocato l’ascesa dei prezzi alimentari è lo sviluppo dell’industria dei biocarburanti a livello globale Come può un settore così distruttivo essere ancora sponsorizzato malgrado le sofferenze che provoca? La risposta breve è che l’opinione pubblica è ancora in gran parte inconsapevole dei risvolti politici ed economici.
A seguire, alcuni estratti dal libro del professor Ziegler, tradotto da Siv O’ Neall [4], che aiutano a svelare la realtà nascosta dietro l’industria dei biocarburanti. Tre sono i fattori principali che contribuiscono alla scarsità dei prodotti alimentari e al loro costante incremento dei prezzi.
L’occupazione delle terre per la coltivazione della canna da zucchero e di altre piante, soprattutto negli Stati Uniti, che vengono destinate alla produzione di biocarburanti (etanolo) è una delle cause principali della scarsità di cibo, dal momento che questa priva i piccoli proprietari terrieri della terra e riduce il volume di cibo a disposizione di tutti. Inoltre la perdita di terre coltivabili a favore della produzione di biocarburanti ha contribuito all’incremento vergognoso dei prezzi alimentari. Meno terra, meno cibo, quindi prezzi più alti. Si aggiunga a questo il fatto che i biocarburanti addirittura aumentano i danni al terreno, che i promotori dichiarano invece a gran voce e in modo disonesta di riuscire a ridurre.
La speculazione sui generi alimentari di prima necessità, così come sulle terre coltivabili, devono anch’esse essere denunciate con vigore come uno dei fattori che maggiormente contribuiscono alla crescita drammatica dei prezzi del cibo che abbiamo osservato a partire dalla metà del 2007. Di conseguenza, non soltanto i piccoli coltivatori vengono privati della propria terra, spesso con un indennizzo nullo oppure esiguo, ma addirittura, con i prezzi degli alimentari alle stelle, non possono neppure permettersi l’acquisto del cibo di cui necessitano per la sopravvivenza.
La terza causa è la desertificazione dei suoli e la degradazione dei terreni, fenomeno accelerato dall’aumento della sostituzione di coltivazioni biologiche con imponenti monocolture per la produzione di biocarburanti oppure per colture OGM, che richiedono enormi quantitativi di acqua. Fiumi e laghi vengono prosciugati e un numero sempre maggiore di persone nel mondo si vede privato della possibilità di accedere all’acqua potabile.
Biocombustibili: la menzogna
Per diversi anni l’”oro verde” è stato considerato un fantastico e remunerativo complemento all’”oro nero”.
Le aziende di produzione alimentare che oggi dominano il commercio dei biocarburanti, per sostenere questi nuovi prodotti, esprimono un concetto che può sembrare irrefutabile: la sostituzione dei combustibili fossili con l’energia ottenuta dalle piante potrebbe essere l’ultima arma nella lotta contro il rapido peggioramento climatico e il danno irreversibile che provocherebbe sull’ambiente e sulle persone.
Ecco alcuni dati: oltre 100 miliardi di litri di bioetanolo e biodiesel prodotti nel 2011. Nello stesso anno, 100 milioni di ettari di raccolto agricolo verranno utilizzati per la produzione dei biocarburanti. La produzione globale di biocarburanti è raddoppiata negli ultimi cinque anni, dal 2006 al 2011.
Il peggioramento delle condizioni climatiche è una realtà. A livello globale, oggi la desertificazione e il degradamento dei suoli colpiscono oltre un miliardo di persone in più di cento Paesi. Le zone secche del pianeta – dove le regione aride e semiaride possono più facilmente essere soggette a degradazione – rappresentano oltre il 44% delle terre coltivabili.
La distruzione degli ecosistemi – col deterioramento di ampie aree agricole nel mondo, specialmente in Africa – rappresenta un evento funesto per i piccoli contadini e gli allevatori. In Africa, l’ONU ha stimato la presenza di 25 milioni di “rifugiati ambientali” o “migranti ambientali“, ossia esseri umani che si vedono costretti a lasciare le proprie case a causa di disastri naturali (alluvioni, siccità, desertificazioni) e che si trovano alla fine a combattere per la sopravvivenza nei bassifondi delle metropoli. La degradazione delle terre alimenta i conflitti, specialmente tra allevatori di bestiame e agricoltori.
Le società multinazionali che producono biocarburanti hanno convinto la maggioranza dell’opinione pubblica, e sostanzialmente tutti i Paesi occidentali, che l’energia prodotta dai vegetali sia l’arma miracolosa contro il peggioramento delle condizioni climatiche.
Ma tale assunto è una falsità, e evita di valutare i metodi e i costi ambientali che derivano dalla produzione di biocarburanti, che richiedono sia acqua che energia.
In tutto il mondo l’acqua pulita sta diventando un bene sempre più raro. Una persona su tre è costretta a bere acqua contaminata. Circa 9000 bambini sotto i dieci anni muoiono ogni giorno a causa dell’acqua con cui si dissetano, inadatta all’utilizzo alimentare.
Secondo i dati dell’OMS, un terzo della popolazione mondiale non ha ancora accesso a un’acqua sana a prezzi abbordabili, e la metà della popolazione mondiale non ha possibilità di disporre di acqua pulita. Circa 285 milioni di persone vivono nell’Africa sub-Sahariana senza utilizzare con regolarità l’acqua pulita [5].
Ed, ovviamente, a soffrire in maniera più severa della mancanza d’acqua sono le persone povere.
Comunque, quando si considerano le riserve d’acqua esistenti al mondo, la produzione ogni anno di decine di miliardi di galloni di biocarburante è un vero disastro.
Per produrre un litro di bioetanolo sono necessari circa 4000 litri di acqua.
Biocombustibili: l’ossessione di Barack Obama
I produttori di biocarburante, di gran lunga le multinazionali più potenti al mondo, hanno il loro quartier generale negli Stati Uniti.
Ogni anno ricevono miliardi di dollari di aiuti governativi. Utilizzando le parole del Presidente Barack Obama nel suo discorso annuale al Congresso del 2011: per gli Stati Uniti, il programma del bioetanolo e del biodiesel è un “obiettivo nazionale“, una questione di sicurezza nazionale.
Nel 2011, avendo ricevuto sussidi per 6 miliardi di dollari di fondi pubblici, queste aziende statunitensi bruceranno il 38,3% del raccolto dei cereali, contro il 30,7% del 2008. E dal 2008, i prezzi dei cereali nel mercato mondiale hanno visto un aumento del 48%.
Gli Stati Uniti d’America sono di gran lunga la potenza industriale più dinamica, oltre che il principale produttore al mondo. Nonostante un relativamente basso numero di abitanti – 300 milioni, al confronto degli 1,3 miliardi e oltre di Cina e India – gli Stati Uniti d’America producono poco più del 25% di tutti i beni industriali fabbricati in un anno nel pianeta.
La materia prima di questa macchina impressionante è il petrolio. Gli Stati Uniti bruciano mediamente in un giorno 20 milioni di barili, ovvero circa un quarto della produzione mondiale. Circa il 61% di questo volume – poco più di 12 milioni di barili al giorno – viene dalle importazioni [6].
Per il presidente degli Stati Uniti, questa dipendenza dall’estero è ovviamente una preoccupazione. E l’aspetto più preoccupante è che la parte più cospicua di questo petrolio di importazione proviene da regioni dove l’instabilità politica è endemica oppure dove gli USA non hanno sufficienti tutele: in parole povere, dove la produzione e l’esportazione verso gli Stati Uniti non sono garantite.
George W. Bush è stato colui che ha inaugurato il programma del biocarburante. Nel gennaio del 2007 fissò l’obiettivo da raggiungere: nei successivi dieci anni, gli Stati Uniti avrebbero dovuto ridurre del 20% il proprio consumo di combustibili fossili e moltiplicare per sette la produzione di biocarburante.
Bruciare milioni di tonnellate di raccolto che potrebbe essere destinato all’alimentazione, in un paese dove ogni cinque secondi un bambino sotto i dieci anni muore di fame, è chiaramente scandaloso.
Il serbatoio di un’automobile di media taglia ha un volume di 50 litri. Per produrre 50 litri di bioetanolo devono essere distrutti 358 kg di cereali.
In Messico ed in Zambia, i cereali rappresentano la fonte principale di alimentazione. Con 358 kg di cereali, un bambino messicano o un bambino dello Zambia potrebbero avere abbastanza cibo per sostentarsi un intero anno.
Biocombustibili: la maledizione della canna da zucchero
Non soltanto i biocarburanti ogni anno consumano centinaia di milioni di tonnellate di cereali, grano e altri vegetali alimentari, e non soltanto la loro produzione rilascia nell’atmosfera milioni di tonnellate di anidride carbonica; in aggiunta, causano disastri sociali nei Paesi dove queste multinazionali che fabbricano il biocarburante diventano dominanti.
Si prenda l’esempio del Brasile.
La lotta dei lavoratori nell’engenho [7] Trapiche è un esempio calzante. Le vaste terre che sono appena visibili nella foschia della sera un tempo facevano parte del demanio. Erano, solo pochi anni fa, appezzamenti di terra agricola, uno o due ettari di superficie coltivati da piccoli agricoltori. Le famiglie vivevano in povertà, ma erano sicure, godevano di un certo livello di benessere e di una relativa libertà.
Attraverso relazioni influenti con il governo federale in Brasilia e la disponibilità di un capitale notevole, i finanziatori hanno ottenuto il “decommissioning“, ovvero la privatizzazione di queste terre. Piccoli contadini di fagioli o cereali furono esiliati verso i quartieri poveri di Recife. Le poche eccezioni sono costituite da quelli che acconsentirono, per una miseria, a diventare tagliatori di canna da zucchero. E oggi, questi lavoratori sono ipersfruttati.
In Brasile il programma di produzione del biocarburante è considerato una priorità. E la canna da zucchero è una delle più remunerative materie prime per la produzione del bioetanolo.
Il programma brasiliano per una rapida crescita nella produzione di bioetanolo ha un nome curioso: piano Pro-Alcohol. È l’orgoglio del governo. Nel 2009 il Brasile ha consumato 14 miliardi di litri di bioetanolo (e biodiesel) e ne ha esportati 4 miliardi.
L’obiettivo del governo è quello di esportare oltre 200 miliardi di litri. Il governo con sede a Brasilia vuole dunque portare a 26 milioni di ettari la coltivazione della canna da zucchero. Nella lotta contro i giganti del bioetanolo, gli inermi tagliatori di canna della piantagione del Trapiche non hanno molte possibilità di vittoria.
L’attuazione del piano brasiliano denominato Pro-Alcohol ha portato a una rapida concentrazione di terra nelle mani di pochi baroni del luogo e delle multinazionali.
Questo processo di monopolizzazione accresce le disuguaglianze e inasprisce la povertà nelle zone rurali (così come la povertà nelle città, come conseguenza della migrazione dalle aree rurali). Inoltre, l’estromissione dei piccoli proprietari terrieri minaccia la certezza della presenza di cibo nelle campagne, dato che erano loro i soli a poter garantire una agricoltura di sostentamento.
Per quanto riguarda le unità familiari condotte da donne, hanno un ridotto accesso alla terra e soffrono di maggiore discriminazione.
In breve, lo sviluppo della produzione dell’”oro verde” basato su un modello di “agricoltura da esportazione” arricchisce in modo straordinario i baroni dello zucchero, ma impoverisce i piccoli agricoltori, i mezzadri e i “boiafrio” [8] in maniera ancor più marcata. Questo è ciò che ha firmato il certificato di morte per piccoli e medi agricoltori, oltre che per la sovranità alimentare della nazione.
Ma a prescindere dai baroni brasiliani dello zucchero, il programma Pro-Alcohol crea ovviamente dei profitti per le multinazionali, come Louis Dreyfus, Bunge, Noble Group, Archer Daniels Midland, e per i gruppi finanziatori riconducibili a Bill Gates e George Soros, così come ai fondi sovrani cinesi.
In un Paese come il Brasile, dove milioni di persone richiedono il diritto di possedere un pezzo di terra, dove la certezza del cibo è minacciata, l’usurpazione della terre da parte delle compagnie transnazionali e dei fondi sovrani [9] è uno scandalo supplementare.
Per impossessarsi delle terre da pascolo, i grandi proprietari terrieri e i manager di queste aziende bruciano le foreste del Brasile, decine di migliaia di ettari ogni anno.
La distruzione è esiziale. Le terre del bacino amazzonico e del Mato Grosso [10], coperte dalle foreste vergini, ha soltanto un sottile strato di humus. Anche nell’improbabile caso che i dirigenti di Brasilia vengano catturati da un improvviso lampo di lucidità, non potrebbero comunque ricreare le foreste pluviali amazzoniche, i “polmoni del pianeta”. Secondo uno scenario riconosciuto dalla Banca Mondiale, ai ritmi attuali di distruzione il 40% della foresta pluviale amazzonica andrà perduto nel 2050.
A causa dell’intensità con la quale il Brasile ha gradualmente sostituito la coltura a scopo alimentare con quella della canna da zucchero, ciò che si è ottenuto è l’ingresso nel circolo vizioso del mercato internazionale del cibo: quando si è costretti a importare quello che non si produce internamente, la domanda globale cresce, e ciò provoca un aumento dei prezzi.
L’insicurezza alimentare, di cui una grande parte della popolazione brasiliana è vittima, è perciò direttamente correlata con il piano Pro-Alcohol. Ciò affligge in modo particolare le zone dove si coltiva la canna da zucchero, dal momento che l’alimentazione principale va a sorreggersi su beni di importazione soggetti alle significative fluttuazioni di prezzo. Molti piccoli agricoltori e contadini sono in definitiva acquirenti di generi alimentari, dato che non hanno abbastanza terra per produrre una quantità di cibo per i bisogni della famiglia. Per questo, nel 2008 i piccoli contadini non sono stati in grado di comprare cibo a sufficienza a causa dell’improvvisa esplosione dei prezzi.
Inoltre, allo scopo di ridurre i costi, i produttori di biocarburante sfruttano abbondantemente i lavoratori migranti, secondo un modello di agricoltura capitalistico ultra-liberista. Non soltanto vengono pagati con salari da elemosina, ma sono sottoposti a turni di lavoro inumani, sorretti da strumenti di tutela minimali e le condizioni di lavoro rasentano la schiavitù.
Conclusioni
Se il mondo dovrà essere salvato dalla morsa del neoliberismo e dall’immensa avarizia e totale insensibilità dei “nuovi padroni del mondo” [11], noi dobbiamo intervenire ora. Dobbiamo osservare in maniera lucida, con occhi e menti ben aperti come questi predoni stanno rapidamente il pianeta e le persone in ostaggio nel loro tentativo assurdo di incrementare la propria ricchezza e dominare il mondo. Dobbiamo riunirci insieme e lavorare senza sosta, senza perdere la speranza, senza perdere di vista l’obiettivo del salvataggio della Terra. Noi non dobbiamo farci ingannare dalla assordante macchina della propaganda. Noi dobbiamo insieme tenere duro. Ci potrebbe così essere una via d’uscita dall’inferno.
di Jean Ziegler e Silv O’Neal
Note:
[1] Adattamento, con il permesso degli autori, realizzato da Finian Cunningham per Global Research. L’articolo originale e le note a piè di pagina sono pubblicate su Axis of Logic:http://axisoflogic.com/artman/publish/Article_64191.shtml
[2] Destruction Massive – Géopolitique de la Faim, di Jean Ziegler, Editions du Seuil, pubblicato il 13 ottobre 2011.
[3] Jean Ziegler, ex professore di sociologia all’Università di Ginevra e alla Sorbona, a Parigi, è membro dell’UN Human Rights Council’s Advisory Committee, con competenza in diritti culturali, sociali ed economici. Nel periodo 2000-2008, Ziegler è stato relatore speciale dell’ONU sul diritto all’alimentazione. Nel Marzo 2008 è stato eletto membro dell’UN Human Rights Council’s Advisory Committee. Un anno dopo, l’Human Rights Council ha deciso, per acclamazione, la rielezione di Jean Ziegler come membro dell’Advisory Committee, carica che ricopre tuttora con scadenza 2012. Nell’Agosto 2009, i membri dell’Advisory Committee lo hanno elettro come vice presidente del forum.
[4] Siv O’Neall è una scrittrice e attivista con sede in Lione, Francia, che tiene una rubrica per Axis of Logic su diversi argomenti internazionali. Ha tradotto estratti dall’ultimo libro di Jean Ziegler per il presente articolo, con il permesso dell’autore. È possibile contattarla al seguente indirizzo: siv@axisoflogic.com.
[5] 248 milioni di persone nell’Asia meridionale si trovano nella stessa situazione, 398 milioni nell’Asia orientale, 180 milioni nell’Asia del sud e Pacifico orientale, 92 milioni nell’America Latina e nei Caraibi e 67 milioni nei paesi arabi.
[6] Soltanto otto milioni di barili sono prodotti da Texas, Golfo del Messico (offshore) e Alaska.
[7] Engenho è un termine che ha origine nell’epoca coloniale portoghese che si riferisce ai mulini da zucchero e agli stabilimenti associati. La parola engenho era tipicamente riferita soltanto al mulino, ma in maniera estensiva poteva descrivere l’area nel suo complesso, includendo la terra, il mulino, le persone che vi lavoravano.
[8] Lavoratori senza terra (boia = bue ; frio = freddo). Lavorerà come un bue e mangerà del cibo freddo
[9] I fondi sovrani sono fondi di investimenti di proprietà statale composto da valori finanziari come azioni, obbligazioni, metalli preziosi e altri strumenti finanziari. I fondi sovrani possono investire a livello globale.
[10] Il Mato Grosso è uno stato situato nel centro-nord del brasile, confinante con Bolivia e Paraguay.
[11] Vedi Les Nouveaux Maîtres du Monde et Ceux qui leur Résistent di Jean Ziegler (Editions Fayards), 2005.