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Howard Riley: né colta, né popolare, solo musica

Il 16 febbraio 1943 nasce a Huddersfield, in Gran Bretagna, il pianista e compositore Howard Riley. Quando i suoi genitori si accorgono che il ragazzo ha la “vocazione” per il pianoforte cercano di assecondarne l’indole.

La scoperta del jazz

Infanzia e adolescenza di Howard vengono, quindi, vissute sotto il segno dello studio della “nobile” musica classica in una lunga serie di istituti musicali britannici. C’è chi dice che la sua famiglia pensasse a lui come a un futuro grande concertista classico, in grado di infiammare i petti dei nobili amanti della musica “colta”. Se le aspettative erano queste, il risultato deve essere stato deludente perché il buon Riley, come moltissimi musicisti del Novecento, non riesce ad accettare i limiti angusti della rigida separazione tra i generi musicali. Scopre nel jazz la sintesi tra la musica popolare e quella colta e si butta anima e corpo. Nel 1967 va ad abitare a Londra, città nella quale costituisce il suo primo gruppo importante. È un trio di cui fanno parte, oltre a lui, il contrabbassista Barry Guy e il batterista John Hiseman, che a pochi mesi dalla costituzione registra il suo primo disco.

Non dice mai di no

Quell’esperienza cementa un rapporto professionale e d’amicizia molto intenso con Guy, che diviene il suo inseparabile complemento nella costituzione di altri gruppi a tre con batteristi come Alan Jackson e Tony Oxley. La sua vulcanica attività non si esaurisce qui. Considerato un vero e proprio talento nell’ambiente, viene chiamato a suonare da quasi tutti i musicisti britannici di quel periodo come Evan Parker e John McLaughlin. Lui non dice mai di no. Per questa ragione il suo nome figura in una miriade di documenti sonori importanti e molto diversi tra loro. Come se non bastasse alla fine degli anni Sessanta entra a far parte della London Jazz Composer’s Orchestra, voluta e fondata dal suo amico Guy. Le sue pubblicazioni discografiche sono innumerevoli e, a riprova del suo modo di concepire la musica, spaziano tra i generi più disparati, compresi quelli di più avanzata sperimentazione, come nell’album Endgame in cui, oltre al solito Guy ci sono anche John Stevens e Trevor Watts, vale a dire il nucleo pulsante dello Spontaneous Music Ensemble. Riley non si accontenterà di suonare, arrangiare e comporre. Farà anche una lunga battaglia perché vengano allargate a tutta la musica contemporanea le sovvenzioni pubbliche britanniche per lungo tempo destinate a sostenere soltanto la musica “colta”. Alla fine la vincerà lui.

 

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