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Hammamet. Un film oltre l’immaginario su Craxi

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Hammamet, la nuova pellicola di Gianni Amelio sugli ultimi mesi di vita di Bettino Craxi

“E’ uguale a Craxi!”. La prima impressione che si ha dinanzi ad “Hammamet”, la recente pellicola di Gianni Amelio sugli ultimi mesi di vita del leader socialista, è proprio l’estrema somiglianza interpretata da Pierfrancesco Favino. Ma più della somiglianza corporea, ricostruita grazie ad un trucco impeccabile, stupisce soprattutto la quasi identica sonorità della voce accompagnata da una gestualità ben studiata e curata nei dettagli.

Il film non mette in discussione nulla. Non ha una matrice politica. Inserisce il protagonista nella sua fase finale di decadenza, senza pretendere di mettere in evidenza le cause che hanno portato al suo declino.

La narrazione ha un punto d’origine ben preciso dove nasce una premonizione, un avvertimento inascoltato (dopo il quale, storicamente, seguiranno i successivi anni segnati dalla dissoluzione socialista e delle altre forze politiche che per decenni hanno governato in Italia). “Se continua così c’è il rischio che non ti sopravviva”, dice infatti Vincenzo Sartori, funzionario socialista impersonato da Giuseppe Cederna, che implora Craxi di cambiare metodo. Il partito è in mano al malaffare e rischia di essere distrutto dalle inchieste che si stanno estendendo a macchia d’olio. Ma le parole di Sartori si perdono nel vuoto. E si suiciderà. Mentre il resto del socialismo italiano viene inghiottito da Tangentopoli.

La mancanza di volontà nell’ascolto è uno dei tratti tipici che emergono in questa rappresentazione di Craxi. Il “Presidente” – come viene sempre chiamato nel film – non ascolta Sartori, non ascolta la figlia Anita, che vorrebbe farlo tornare in patria per farlo curare a Milano, respinge le ragioni di chiunque osi criticare quel sistema che lo ha visto protagonista assoluto. Amelio fornisce l’idea di un uomo che conserva intatte le sue certezze e la sua linea di pensiero. Ne emerge, dunque, un Craxi ancorato, nonostante tutto, al suo “craxismo”.

I giudici sono i nemici e stanno lì, in Italia, che lo aspettano per tendergli la trappola finale. Mentre lui è “in esilio” ad Hammamet, perché non accetta di farsi giudicare dai magistrati: nemici manovrati da chissà quali forze occulte. Un atteggiamento mantenuto in modo rigoroso e costante. Anche a costo di mettere in pericolo la propria vita. Craxi non vuole essere giudicato e continua a comportarsi come un uomo di potere: “chiama i fotografi!”, urla alla figlia quando si trova in un ospedale per tentare di farsi curare una gamba. “Non ci sono”, risponde desolata Anita.

All’ego del “Presidente” vengono poi a sommarsi alcune debolezze e spigolosità caratteriali che fanno parte della quotidianità del Craxi “in esilio”. Ne è un esempio la voracità a tavola. Amelio dipinge un Craxi goloso di pasta a tal punto che tutte le volte che se la trova davanti, anche nel piatto del suo interlocutore, allunga la forchetta senza alcuna minima esitazione. C’è poi il rapporto difficile col figlio, Bobo, che soffre dell’assenza di dialogo col padre che sarebbe determinata, secondo la sorella Anita, dal modo tipicamente paterno di esprimere una mancanza. In altre parole: Craxi non parlava col figlio in alcuni frangenti perché questo era il suo modo per dirgli: mi manchi. Insomma, il film si perde in questi contorsionismi psicologici, lasciando spazio ad una trama poco lineare.

Nella storia si innesta, inoltre, il filo narrativo legato alla figura di Fausto Sartori, figlio di quel Vincenzo che aveva inutilmente messo in guardia il segretario del Psi. Una notte Fausto sfugge ai controlli delle guardie piantonate davanti alla dimora dell’ex leader socialista. Viene acciuffato dai militari e Craxi, quando lo rivede, lo riconosce e lo abbraccia. Il ragazzo, che ha problemi psichici, gli consegna una lettera del padre che accusa Craxi di tutto ciò che ha portato alla morte del partito. Ma l’ex presidente del Consiglio non si cura affatto della lettera: si limita ad accogliere Fausto in casa, fino a consentirgli anche di riprenderlo con una videocamera per girare un filmato di “memorie segrete”.

La presenza di questo giovane, dallo sguardo inquietante ma dagli occhi straordinariamente azzurri, non certo gradita ad Anita, accompagna l'”esule” in giro per la città tunisina mentre fa “opere di bene”, aiutando famiglie bisognose e promettendo l’intervento “du ministre”.

E’ un Craxi romantico e umano, in questi passaggi, lontano dal suo io impregnato di un potere che non c’è più da tempo. Via via, la narrazione, si abbandona ad una costruzione del personaggio che lo vede semplicemente come “un uomo”. Che risponde con sottile ironia alle invettive dei turisti italiani che gli gridano: “Ladro! Dove hai messo il tesoro?”. Che va incontro ad una morte imminente che sembra sempre ad un passo dall’essere raggiunta. E qui, Amelio, gira l’ultimo passaggio, prima della fine, immergendo Craxi in un flashback: si apre la scena della sua infanzia in collegio cattolico. Il ricordo di quando da bambino si divertiva spaccando le vetrate dell’istituto con una fiondina. Il prete che lo rimprovera. Il padre, che dal Duomo di Milano lo conduce scalzo in un teatro dove viene deriso, umiliato e trattato come un lestofante.

Pierfrancesco Favino è Bettino Craxi

In conclusione, “Hammamet” aspira ad una descrizione realista. Ma non ci riesce perché devia su un binario progressivamente più romanzato. E’, in altre parole, un tentativo di dipingere Craxi secondo una chiave tale da renderlo accettabile, oltre quell’immaginario dominante che per molti anni lo ha descritto come un “latitante sfuggito ai giudici del pool mani pulite”.

Amelio ha voluto restituirci un Craxi lontano dalle sentenze e dal giudizio giudicante. Una contronarrazione che ha fatto e fa molto discutere. E questo è, forse, l’unico vero risultato prodotto insieme all’estrema somiglianza di Favino.

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