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Gli italiani e le lingue, un rapporto difficile

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Lo studioso veneziano Paolo Balboni evidenzia le carenze linguistiche italiane nel suo "La sfida di Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse".

Diverso tempo fa, assistendo in televisione a un incontro di singolare maschile di tennis a Wimbledon, mi capitò di ascoltare l’indimenticato Nicola Pietrangeli affermare che “se vogliamo che i nostri ragazzi e le nostre ragazze crescano al meglio in questo mondo professionistico, è bene che nelle scuole tennis, oltre ai fondamentali tecnici, s’insegni anche la lingua inglese”. La considerazione del vincitore del Roland Garros nel 1959 e nel 1960 è di un’attualità sconvolgente che travalica l’ambito tennistico e si sposta su tutte le attività dell’età contemporanea. In un mondo sempre più globale, l’apprendimento di almeno una lingua straniera diventa un requisito essenziale per poter sperare di competere con gli altri paesi.

Il libro sull’apprendimento delle lingue Le sfide di Babele

Paolo Balboni fa il punto della situazione sulle lingue

Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse (UTET, 2011) dello studioso veneziano Paolo Balboni non ha fatto altro che confermare un dato evidente per quanto riguarda la cultura media degli italiani e cioè lo scarso feeling con le lingue straniere. Sostenere una conversazione in una lingua straniera risulta una difficoltà spesso insormontabile per sei italiani su dieci, un dato sconfortante che pone il nostro Paese al terzultimo posto nell’Unione Europea. Dietro di noi, secondo alcune ricerche condotte recentemente da Eurobarometro, ci sono solo irlandesi e britannici. E la situazione non migliora con il passar del tempo. Se si confrontano gli ultimi dati a disposizione, si scopre che gli italiani in grado di sostenere una conversazione in una lingua straniera sono passati dal 46% al 41%, a fronte di una media Ue del 50%, che sale a oltre il 90% per molte nazioni del Nord Europa.

Metodi d’insegnamento e pluringuismo nelle scuole

Conoscere una lingua straniera a livello scolastico non significa automaticamente poterla parlare. E questo, probabilmente, per la mancanza di un metodo d’insegnamento a scuola dove ci si concentra più sui contenuti grammaticali che sul parlato. Se tredici anni di studi, dalla scuola primaria a quella superiore, non permettono di padroneggiare una lingua, si può ipotizzare il malfunzionamento delle Istituzioni educative preposte al relativo insegnamento. A tutto ciò si deve aggiungere il fatto che viene promossa solamente una lingua, spesso l’inglese, mentre, in un mondo in continua evoluzione, è decisamente da favorire il plurilinguismo.

Come sottolinea Paolo Balboni, “il plurilinguismo è forse l’ultima difesa contro la globalizzazione delle menti e l’omologazione culturale. Conoscere le lingue straniere, dunque, non è più solo un mezzo per facilitare gli scambi di informazioni, merci o servizi, ma è soprattutto lo strumento per immergersi in modi di pensare diversi dal proprio, in una logica aperta al contagio linguistico e culturale, in cui ciascuno prende dagli altri le parole, i modelli e i valori che trova migliori”. Certamente vi è da sottolineare la cronica carenza di fondi da investire nella scuola italiana che impedisce, già alla base, qualsiasi tentativo di cambiare la situazione esistente. Diversi docenti delle scuole elementari, medie e superiori hanno infatti evidenziato come la mancanza di soldi incide anche nella possibilità di avere dei lettori di madrelingua che affianchino i docenti nelle fasi di correzione della pronuncia e della composizione di un testo scritto. E la situazione non migliora in molte facoltà universitarie dove l’insegnamento delle lingue si riduce a una semplice prova di idoneità.

Le carenze linguistiche danneggiano l’economia

La conseguenza finale di questa dinamica educativa non può che essere un’impreparazione strutturale nel momento in cui si entra nel mercato del lavoro. Secondo le società di ricerca del personale, soltanto il 30-40% dei candidati risponde al livello di conoscenza dell’inglese richiesto, specie dalle piccole e medie imprese attive nel settore dell’export. Quanto fatturato perdono ogni anno tante aziende in mancati contratti? Non abbiamo dati certi ma è facile presumere che il danno complessivo potrebbe essere valutato in molti milioni di euro. Certo, non siamo i soli in Europa. Il basso tasso di apprendimento di una differente lingua straniera è uno dei dati più impressionanti che emerge da un recente studio condotto dalla Commissione europea sulle carenze nella conoscenza linguistica.

Delle oltre duemila aziende interpellate, l’11% ha ammesso di aver perso possibili contratti di export a causa della scarsa conoscenza di lingue straniere da parte dei loro dipendenti. Anche se è possibile che il danno subito sia andato a beneficio di altri concorrenti europei, resta comunque il fatto che la padronanza delle lingue e, quindi, anche della conoscenza di diverse culture, costituisce un serio handicap alla produttività di molte imprese esportatrici, soprattutto di dimensioni medio-piccole. La lingua d’affari più diffusa è, ovviamente, l’inglese ma il rapporto della Commissione europea avverte che non sempre questo basta per affermarsi sul mercato globale. Il russo, per esempio, viene usato come lingua franca in molti Paesi dell’Est Europeo insieme al tedesco mentre il francese è la lingua corrente per chi vuol fare affari con una larga parte dell’Africa,e così lo spagnolo per l’America Latina.

Imparare le lingue è conoscere le culture

È evidente, quindi, che l’apprendimento e la padronanza di più lingue straniere permette a un giovane italiano di potersi muovere con più scioltezza e sicurezza non solo nell’ambito del mercato del lavoro nostrano ma anche di avere i requisiti per poter cercare un’occupazione stabile al di fuori dei confini nazionali. E tutto ciò, a voler fare un’ulteriore considerazione, non può che evidenziare una validità di fondo del sistema educativo del nostro Paese, non dimenticando che, apprendere una o più lingue straniere, non significa solo uno sforzo apprezzabile a livello di impegno personale ma, in generale, ha anche un grande significato civile.