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Gli Ardecore, una mescola singolare

Il 10 novembre 2005 un concerto a Brescia segna l’inizio del tour degli Ardecore, un gruppo nato da esperienze molto diverse tra loro.

Nato quasi per gioco

Gli Ardecore sono una singolare mescola tra il blues sporco e nero di Giampaolo Felici, alias Blind Loving Power, Geoff Farina, il leader della band statunitense post-rock dei Karate, la follia degli Zu, la genialità improvvisatrice di Luca Venitucci, già al fianco di Lou Reed con gli Zeitkratzer, e l’eccentrica creatività di un piccolo guru della musica contemporanea come Valerio Borgianelli.  Questo apparentemente improbabile ensemble si è misurato con le canzoni della tradizione romana più antica, quella dei quartieri dove non arriva mai il sole e delle carceri. Il risultato di tutte queste componenti è, appunto, Ardecore. Nato quasi per gioco il progetto è diventato prima un disco e poi un tour. In Ardecore le ballate della malavita e del carcere, dell’amore, della violenza e della morte inventate dagli antichi cantastorie trasteverini tornano alla vita innervati da un suono e una rielaborazione che guarda più a Tom Waits o ai Calexico che ai neomelodici di casa nostra.

Musica per depistare il pubblico

Secondo quanto racconta lo stesso Felici «Il progetto nasce nella primavera del 2002 durante il tour europeo dei Karate con Zu e Blind Loving Power a fare da apertura. I concerti, estremamente vari come proposta venivano aperti e chiusi da vecchi dischi di musica romana giusto per depistare il pubblico». I brani proposti hanno quasi un secolo di vita, a parte Come te posso amà che è del Settecento. Il gruppo, senza stravolgere le partiture originali, ne dà una rilettura particolare con soluzioni stilistiche decisamente moderne. I brani sono stati scelti cercando di dare un senso logico alla loro scansione. L’album può così essere diviso in tre capitoli di tre episodi ciascuno che richiamano un po’ alla memoria le antiche tavole dei cantastorie. Nel primo l’ambientazione è quella del carcere, della malavita, dell’amore, del dramma della morte, della strada verso l’amore divino. Nel secondo la morte sale in cattedra e il Tevere diventa lo scenario della sua azione drammatica. Il terzo trittico è dedicato alla struttura della “serenata”, il fiore all’occhiello della musica popolare romana, la radice della melodia italiana più pura, quella che non teme il confronto con il tempo.

 

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