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Gli ambientalisti: “No a trivelle”

trivelle

Gli ambientalisti insorgono per dire “No alle trivelle”.

No alle trivelle da Wwf, Greenpeace e Legambiente

Il Governo Renzi ha un problema con i pasdaran pro-trivelle del Ministero dello Sviluppo Economico che, favorendo il più clamoroso conflitto istituzionale oggi in atto (con 10 Regioni che hanno promosso 6 referendum), interpretano in maniera distorta e riduttiva il ruolo del Ministero, facendo proprie le valutazioni di Assomineraria e gli interessi dei petrolieri e non difendendo, con altrettanta forza,  gli altri settori economici consolidati strategici per il Paese (turismo e pesca).

Trivelle, gli ambientalisti contro

WWF, Legambiente e Greenpeace Italia chiedono  – sottolinea un comunicato – il rigetto definitivo di tutti i procedimenti ancora pendenti nell’area di interdizione delle 12 miglia dalla costa (a cominciare da Ombrina) e una moratoria di tutte le attività di trivellazione a mare e a terra. Le associazioni denunciano inoltre una grave distorsione nell’operato del Ministero dello Sviluppo Economico, che sostiene e attua politiche di retroguardia in una difesa d’ufficio dei combustibili fossili, contro le scelte energetiche imposte dagli impegni assunti dall’Italia per la salvaguardia del clima: promuovere le energie rinnovabili, il risparmio e l’efficienza energetica per mantenere il riscaldamento globale entro 1,5°C.

Lo ricordano gli ambientalisti nel giorno in cui la Corte Costituzionale ha deciso di rimandare la Camera di Consiglio sui sei referendum proposti dalle Regioni sulle norme contenute nel decreto Sviluppo del 2012 e nel decreto Sblocca Italia del 2014,  segnalando 4 peccati originali a conferma della loro valutazione:

 

  1. Il 23 dicembre il Governo ha dovuto cambiare le norme, volute dal Ministero dello Sviluppo Economico, con le quali si stabiliva la strategicità per legge delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi da autorizzare con iter semplificati e super accelerati che emarginavano le Regioni. Con quelle norme si facevano salvi non solo gli atti abilitativi acquisiti, ma anche i soli procedimenti connessi e  conseguenti in corso sino alla fine di giugno 2010 nell’area off limits delle 12 miglia marine. Il Governo l’ha fatto per disinnescare i referendum, ma quelle norme e procedure, contestate  da almeno 3 anni dagli ambientalisti, erano evidentemente di dubbia legittimità.

 

  1. Il Ministero dello Sviluppo Economico ha sempre fatto proprie pedissequamente le valutazioni e le richieste di Assomineraria, garantendo un regime di franchigie, royalty e agevolazioni  tra i più favorevoli al mondo (le royalty in Italia sono al massimo al 10% mentre negli altri paesi produttori di petrolio vanno dal 25% della Guinea all’80% di Norvegia e Russia) sposando anche gli studi, non verificati, prodotti dai petrolieri sullo sviluppo del settore (stimando 25.000 nuovi occupati), quando il turismo nelle aree costiere messe a rischio dalle trivelle fa registrare ogni anno 43 milioni le presenze di stranieri. Il solo settore della pesca occupa, già oggi, 25mila addetti, senza contare l’indotto e la maricoltura (pesci e molluschi).

 

  1. Il Ministero dello Sviluppo Economico, per la vigilanza sui grandi rischi connessi alle trivellazioni, ha preteso e ottenuto l’istituzione di un comitato interministeriale e di strutture territoriali in cui sono presenti dirigenti e funzionari dell’UNMIG (Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse del Ministero) avrebbe invece dovuto far nascere anche in Italia una’“Autorità competente” indipendente, come richiesto dalla normativa europea (Direttiva 2013/30/UE), chiaramente distinta dagli uffici Ministero, per evitare conflitti di interesse nello svolgimento dei suoi compiti, come richiesto dall’Europa;

 

  1. Il Ministero dello Sviluppo Economico è refrattario a qualsiasi forma di pianificazione settoriale. Con la scusa dell’abrogazione della norme sottoposte a referendum è stato fatto anche scomparire il Piano delle aree per le trivellazioni, da sottoporre a valutazione ambientale strategica, richiesto dalla normativa comunitaria.

Gli ambientalisti ritengono che, per essere Paese coerente con gli impegni assunti a livello internazionale dopo la COP 21 Parigi, l’Italia dovrebbe abbandonare le strategie pro-fossili del governo Renzi (prosecuzione diretta della Strategia Energetica Nazionale del governo Monti del 2012) e definire al più presto un Piano climatico energetico che punti sulle energie rinnovabili, sul risparmio e l’efficienza energetica, nel quadro di una più ampia Strategia di decarbonizzazione per tutti i settori, per far fede all’impegno di mantenere il riscaldamento globale entro 1,5°C.

Le Associazioni ambientaliste chiedono, dunque, al Governo di uscire dalla ottusa difesa degli interessi dei petrolieri e di ricondurre quanto prima il Ministero dello Sviluppo Economico al suo ruolo istituzionale.

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