L’Italia ha oltre 8.000 chilometri di coste ma meno di un decimo – circa 700 chilometri – è realmente tutelato. Le aree marine protette sono appena 30 e solo 2 sono i parchi sommersi istituiti per difendere il patrimonio unico che si nasconde sotto la superficie del mare. La Giornata Nazionale del Mare, che si celebra l’11 aprile, è l’occasione giusta per sensibilizzare i giovani (e non solo) sul valore ambientale, culturale e scientifico dell’universo blu. È un’opportunità per riflettere sull’importanza della conservazione degli organismi marini e per dare rilievo al lavoro instancabile dei ricercatori che ogni giorno si impegnano per salvaguardare questo prezioso ecosistema. Tra questi, i ricercatori del progetto europeo LIFE Pinna stanno lavorando per tentare di salvare dall’estinzione una delle specie simbolo del nostro mare, Pinna nobilis, da molti conosciuta come nacchera di mare.
Fino a pochi anni fa, Pinna nobilis era una specie comune. In tutto il Mediterraneo si potevano trovare popolazioni in buono stato di salute, che contavano centinaia di esemplari, dai fondali sabbiosi alle praterie di Posidonia oceanica. In un lago salato della Dalmazia poco più grande di un campo da calcio, ne sono state contate addirittura 30.000. Purtroppo, a partire dal 2016 un’epidemia ha rapidamente decimato la specie, che è quasi del tutto scomparsa dai nostri mari, entrando nella categoria “in pericolo critico” (critically endangered) nella lista rossa IUCN. Oggi Pinna nobilis è protetta da leggi internazionali. Per tentare di salvare questa specie, alla fine del 2021 è partito il progetto LIFE PINNA. Cofinanziato dall’Unione Europea e capitanato da Arpal (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente Ligure), il progetto LIFE PINNA coinvolge quattro regioni italiane e una slovena, avvalendosi di un partenariato composto da importanti enti pubblici e privati, tra cui l’Università di Genova, l’Università di Sassari, il Parco Nazionale dell’Asinara, la società Shoreline, l’Istituto Nazionale di Biologia della Slovenia e Triton Research.
Perché è importante salvaguardare Pinna nobilis
Pinna nobilis è il mollusco bivalve più grande del Mediterraneo, può arrivare a misurare oltre un metro di lunghezza ed è una specie endemica – ovvero vive solo nel nostro bacino . Eccezionale filtratore, riduce la torbidità dell’acqua e svolge un importante ruolo ecologico di cui beneficiano molte altre specie di invertebrati, tanto che ogni individuo può essere considerato un ecosistema in miniatura. Nel monotono orizzonte dei fondali sabbiosi, infatti, la sua grande conchiglia rappresenta una ghiotta opportunità per gli animali filtratori e sospensivori (quelli che si nutrono di piccoli organismi e di particelle organiche fluttuanti – come echinodermi, spugne e tunicati) per arrampicarsi e raggiungere la posizione più elevata possibile dal fondale così da intercettare prima le particelle nutritive trasportate dalle correnti. Tra le sue valve trova rifugio persino un gamberetto, Pontonia pinnophylax, che agisce come sentinella all’avvicinarsi di un pericolo, dando così vita a una forma di simbiosi nota già ai tempi di Aristotele, quando si credeva che il mollusco sarebbe morto in mancanza del suo fido guardiano.
L’importanza della rete di ricerca a tutela della biodiversità
Il progetto LIFE PINNA punta a proteggere e monitorare gli esemplari sopravvissuti e a individuare procedure e strumenti per avviare il recupero delle popolazioni di Pinna nobilis nel loro habitat. I biologi del LIFE PINNA hanno già effettuato alcune traslocazioni di individui sani nell’Area Marina Protetta di Capo Mortola (IM), al confine con la Francia, prelevandoli dai fondali della Laguna di Venezia, uno degli ultimi luoghi dove è ancora possibile trovare Pinna nobilis. Non solo. Nelle prossime settimane, i protocolli di trasporto e trapianto messi a punto dai ricercatori saranno replicati in un’altra Area Marina Protetta ligure. Se le analisi genetiche escluderanno la presenza di pericolose patologie infettive, infatti, alcuni esemplari attualmente allevati nelle vasche del laboratorio di Camogli (GE), saranno trapiantati a Bergeggi (SV) dove saranno controllati periodicamente per verificare il loro stato di salute.
I tentativi di reinserimento in aree in cui storicamente era nota la presenza della specie, come i posidonieti della Liguria, rappresentano solo uno degli scopi del progetto. Un altro ambizioso obiettivo, mai raggiunto in precedenza, è la riproduzione in cattività. In questi anni i biologi del LIFE Pinna hanno contribuito a creare una grande rete di networking con altri esperti di enti nazionali e internazionali, dalla Tunisia ai Balcani, impegnati attivamente per la conservazione di Pinna nobilis nel bacino del Mediterraneo. A gennaio di quest’anno è cominciata una nuova fase della collaborazione di questa task force internazionale: tre istituti diversi, l’Università di Genova, la società cooperativa Shoreline a Trieste, e l’Acquario di Pola, in Croazia stanno lavorando in parallelo nel tentativo di ottenere una maturazione gonadica “anticipata” che sarebbe propedeutica alla riproduzione degli individui.
Aumentando gradualmente la temperatura dell’acqua e le ore di luce, si tenta di indurre la maturazione gonadica per arrivare all’emissione dei gameti qualche mese prima rispetto a quanto accade in natura e ciò darebbe la possibilità di incrementare i ripopolamenti. La novità più importante è che tutte le attività vengono fatte in contemporanea nei tre istituti. Lavorare all’unisono seguendo un unico protocollo, e quindi le stesse tecniche, messe a punto nei mesi scorsi dai ricercatori di LIFE Pinna permette di condividere passo passo i risultati e di confrontarsi in tempo reale su ciò che accade nelle vasche. I prossimi mesi saranno quindi cruciali per il futuro della specie. Nel mese di maggio i ricercatori potranno finalmente fare il punto della situazione e decidere le prossime mosse per provare a dare una speranza a una specie prioritaria come Pinna nobilis.