Il 29 novembre 2001 muore George Harrison, “The sad Beatle”, il Beatle triste com’era stato soprannominato ai tempi d’oro della Beatlemania.
Undici anni dopo l’assassinio di John
Undici anni dopo la morte di John Lennon, il più giovane dei Beatles se ne va. Il suo calvario è stato lunghissimo. Prima il cancro aveva colpito la gola, un luogo simbolico per chi usa la voce per cantare. Apparentemente sconfitta, la bestia aveva poi aggredito i polmoni. Infine era toccato alla testa, quasi a dimostrare la pervicace volontà delle metastasi di non arrendersi di fronte alla voglia di vita del musicista. In mezzo, nel 1999, c’era stata l’aggressione di Michael Abram, un povero ragazzo che era penetrato nella sua casa armato di coltello e l’aveva colpito dieci volte con folle ferocia. Anche quella volta era stato salvato. Prima dalla moglie Olivia, che aveva immobilizzato l’aggressore colpendolo alla testa con una lampada, e poi dai medici che l’avevano ricucito. Lui ogni volta era ricomparso in pubblico con la serenità un po’ scostante che ne aveva sempre contraddistinto il personaggio. Schivo e riservato, nel periodo della Beatlemania, quando tutto il mondo sembrava ai piedi dei quattro ragazzi di Liverpool, lui si era chiamato fuori dalla sbornia della mondanità forzata. Aveva cercato strade diverse. Studiando il sanscrito e la filosofia indiana si era fatto conquistare dallo spiritualismo delle religioni orientali senza preoccuparsi dell’ironia con cui venivano sottolineate queste scelte.
Il più piccolo dei Beatles
Era il più piccolo dei quattro Beatles. Nato a Liverpool il 25 febbraio del 1943 in una famiglia proletaria, ha frequentato lo stesso ambiente degli altri tre: due classi lo separavano da John Lennon alla Dovendale Primary School, una classe da Paul McCartney al Liverpool Institute. È proprio quest’ultimo a notarlo sull’autobus che li portava a scuola e a coinvolgerlo nell’avventura dei Quarrymen, il primo gruppo firmato Lennon-McCartney. Dopo lo scioglimento del gruppo i fari del successo si accendono inaspettatamente proprio su di lui nonostante le precedenti modeste esperienze da solista e il ruolo secondario nella band. Nel 1970 la pubblicazione del triplo album All things must pass, alla cui realizzazione partecipa anche l’amico Bob Dylan, lo porta al vertice delle classifiche di tutto il mondo. Risultati ancora migliori ottiene il singolo di My sweet lord, un brano che dopo il calore del trionfo gli procurerà anche il freddo dei guai giudiziari. Citato in giudizio con l’accusa di plagio finirà per essere condannato. Non è un truffatore. Nessuno pensa a lui come un furbacchione, tutti invece sono convinti che proprio il suo distacco dalle cose materiali sia una costante fonte di guai per la sua vita. Nel corso degli anni le sue apparizioni si fanno più rare fino a quando la notizia della sua morte cala per sempre il sipario su questo scontroso, scostante e geniale protagonista della scena musicale del Novecento.