Cosa c’è di più gustosamente culturale se non scambiare quattro chiacchiere con un autore in un caffè letterario? È quello che Daily Green ha fatto questa settimana incontrando lo scrittore Fabio Pascucci a margine dell’aperitivo letterario svoltosi lo scorso 31 marzo nella cornice di Lettere Caffè, locale situato nel centro storico della Capitale. Come lo stesso autore romano ci dice, iniziando il nostro dialogo, il suo ultimo libro Io non ti vedo ha già inanellato una serie impressionante di presentazioni (a Milano, a Mantova e al Campidoglio solo per citare alcuni luoghi), di recensioni (La provincia di Frosinone, la rivista Liburni e Il Tempo) e sta sbarcando anche in televisione, sul Tg2, con un’intervista all’interno della rubrica per opere letterarie ACHAB.
Lena, un esempio femminile da seguire
Fabio, domanda di rito che faccio sempre per presentare l’autore ai lettori di Daily Green. Chi è Fabio Pascucci e cosa rappresentano per te il “mestiere di scrivere” e la letteratura?
Per me scrivere non rappresenta un “mestiere” in senso proprio, bensì un momento in cui faccio volare la fantasia a contatto con la parte più intima e recondita di me stesso. Il processo di scrittura può essere paragonato quasi a una seduta di analisi in cui è possibile confrontarmi con i miei limiti, le mie paure, le mie aspirazioni e le mie passioni. “Scrivere” è una malattia che si cura soltanto con lo scrivere stesso ed è bellissimo fare terapia in questo modo.
Hai già pubblicato un libro La tessera mancante nel 2012 e ora hai continuato con Io non ti vedo edito da Rupe Mutevole nel 2013. Da cosa hai tratto ispirazione per la redazione della tua ultima fatica letteraria?
Più che trarre ispirazione direi che ho accettato una sfida, quella di calarmi nella parte di una protagonista femminile. Tutti i personaggi principali sono donne, a eccezione forse di uno che rappresenta il maestro, la guida da seguire. Mi sono sentito attratto dalla mentalità femminile, in cui prevale la visione introspettiva, il percorso psicologico, la macerazione interiore. Infatti, la protagonista, Lena, è una donna che ha sofferto molto nella vita: è stata abbandonata dal marito, ha un rapporto conflittuale con la sorella, non ha alcuna relazione con la madre e adesso deve affrontare anche la questione della drammatica sparizione della figlia. È vero, sua figlia Fillide ha diciotto anni, quindi maggiorenne e in grado di effettuare autonomamente le scelte della vita, ma per Lena, lei è ancora una bambina che deve essere aiutata, guidata e protetta. Quindi il romanzo si snoda su due differenti piani che a volte si intersecano e si fondono: c’è quello pragmatico e materiale della ricerca della figlia in ogni luogo da lei frequentato e poi c’è quello psicologico della ricerca di sé stessa.
Entriamo nel vivo di Io non ti vedo. Il romanzo prende le mosse dalla scomparsa di una ragazza, Fillide, e del tentativo di sua madre, Lena, di ritrovarla. Ma Lena non è un personaggio comune in quanto, grazie a poteri extranaturali, riesce a comprendere fatti ed eventi premonitori per cui, leggendo le pagine del tuo libro, si rintracciano elementi collegati all’occultismo, alla chiaroveggenza e alla percezione sensoriale. Ma quello che emerge in maniera dominante è, in realtà, il percorso interiore che compie la protagonista nel tentativo di rintracciare sua figlia. Possiamo quindi dire che il soggetto principale su cui ruota tutto il tuo romanzo è l’animo umano indagato in tutte le sue sfaccettature?
Sicuramente l’animo umano viene indagato in tutte le sue sfaccettature e Lena, infatti, mette a nudo la sua anima e si confronterà con la sorella, un’attrice di grande successo, ma così diversa da lei; poi con la sua amica Alice Piva, una ragazza vittima delle sue stesse paure; e infine con il Neri, un uomo misterioso rinchiuso all’ultimo piano del palazzo dove lei viveva da bambina. Ma ciò che preme di più in questo romanzo è l’anelito a contattare il Superiore, l’Ineffabile, il Creatore. Lena affronta ogni situazione come una prova. In questo modo, ogni singola esperienza potrà costituire un tassello per giungere a quello che in psicologia si definisce l’insight, cioè la comprensione improvvisa, l’intuizione, l’illuminazione.
Per arrivare all’insight, Lena ha un’arma in più, vale a dire il dono della chiaroveggenza che lei utilizza, però, soltanto per percepire cosa si muove al di là del mondo materiale. Ma questi poteri extrasensoriali saranno utilizzati solamente a favore delle persone che implorano il suo aiuto per risolvere un problema, quasi Lena fosse un Gustavo Rol moderno che utilizza le sue capacità soltanto per far del ben agli altri.
Parliamo un istante dello stile narrativo di Io non ti vedo. Scorrendo le pagine, vi ho trovato un’espressività molto personale, ricercata e curata. Hai dei modelli di riferimento a cui ti ispiri?
Io credo che la lettura di un libro debba sempre lasciare una traccia sul cuore di chi lo legge, in modo tale da poter attingere a quelle incisioni nei momenti di sconforto ma anche in quelli di felicità. Per cui, gli scrittori che hanno lasciato un segno nel mio animo sono molti come Dante, Manzoni, Leopardi, Dostoevskij, Tolstoj, Kafka, Wilde, James, Woolf, Joyce, Proust, Svevo, Mann Pirandello, Nabokov, Camus, Pavese, Moravia, Flaiano, per arrivare ai contemporanei Piperno, Barbery, Murgia, Eco e Mazzantini. Tutti mostri sacri e punti di riferimento per chiunque si voglia cimentare sia con la lettura che con la scrittura. Credo di aver attinto a piene mani dai loro registri linguistici, cercando però, nel mio piccolo, di mantenere un mio stile narrativo del tutto originale, anche perché sono io di fronte al foglio bianco e non posso fingere o mentire a me stesso.
Se focalizziamo un momento la nostra attenzione sulla trama del romanzo, non possiamo non notare l’importanza che attribuisci all’arte in generale e alla pittura in particolare. Alcune opere di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, emergono in maniera dirompente. Vuoi illustrarci meglio questi aspetti del tuo libro? E che rapporto con la protagonista Lena?
Tutto il romanzo è intriso di riferimenti all’Arte. L’Arte si pone come chiave di volta in quanto essenza intellegibile del mondo tangibile, il noumeno della cosa rappresentata, che tocca la parte più profonda e recondita dell’inconscio. Riesce ad astrarci da tutto ciò che è materiale e terreno, facendoci sprofondare in una dimensione senza spazio e senza tempo. Lena non lo sa ma l’Arte è dentro di lei. Lei, che detesta tutto ciò che è prosaico e volgare perché proiettata verso l’interiore, verso le sue “visioni” che l’hanno sempre guidata nella vita, percorrerà sentieri che la riconcilieranno con l’ispirazione artistica in quanto tale. A differenza della madre Mara, che ha sempre rifiutato il contatto con l’Arte, vista come elemento dirompente della normalità della vita e trait d’union con i suoi poteri soprannaturali, quasi sconfessati e rinnegati, Lena sa percepire l’elemento artistico, ma per ora non lo vede nella sua essenza, così come non “vede” sua figlia.
Da qui anche il titolo del romanzo e il lettore stesso dovrà andare alla ricerca delle verità nascoste all’interno della trama. È necessario, infatti, cogliere i significati intrinseci delle metonimie disseminate nel testo per comprendere che tutto è legato da un filo conduttore unico. Non a caso, a proposito di Caravaggio, le sue opere sono citate in relazione alla figlia di Lena, ossia Marta e Maria Maddalena, Santa Caterina d’Alessandria e Giuditta e Oloferne, in cui appare proprio la modella Fillide; e non accidentalmente Marta e Maria Maddalena rappresentano la conversione di una sorella a opera dell’altra e costituiscono il nesso tra Lena e sua sorella Barbara, così come Santa Caterina d’Alessandria è collegata all’episodio di Beatrice Cenci – citata nel romanzo – e l’opera Giuditta e Oloferne si innesta sulla vicenda di Alice Piva. Dunque, il lettore saprà di volta in volta riconoscere i punti rivelatori sparsi lungo il dipanarsi della storia, per poi porsi il dubbio se tutto sia realmente così come descritto o se non sia soltanto una suggestione partorita dalla mente di Lena, in grado di plasmare visioni, creare storie e personaggi che esistono solo nei suoi voli onirici e guardare la realtà come ha sempre fatto, attraverso lo specchietto del suo portacipria (riflessa come nella rifrazione del dipinto di Marta e Maria Maddalena).
Tra i tuoi interessi culturali, c’è anche la poesia e non solo la narrativa. È la prima che ispira la seconda o viceversa?
Io non ti vedo si chiude con una poesia scritta da me. Si tratta del tentativo di inserire qualche mio componimento all’inizio o alla fine del testo, così da far “digerire” parole non in prosa al lettore. Ammetto come non sia sempre facile fare questo tipo di operazione e, soprattutto, semplice per i lettori comprendere i miei versi, talvolta criptici ed ermetici. Tuttavia, mi son sentito di farlo e l’ho fatto, pensando anche a ciò che mi piacerebbe trovare in un libro.