Quando pensiamo a momenti di pace interiore e di riflessione personale ci viene spontaneo rivolgere la mente ad ambienti calmi, tranquilli e sereni. E, sovente, una delle immagini ricorrenti è un prato verde davanti a noi, capace di suggestionare l’immaginazione e la fantasia.
Dev’essere stata proprio questa la sensazione di molti scrittori quando hanno voluto dedicare pagine delle proprie opere a una delle creazioni umane più improntate al “green”: i giardini. E proprio ai giardini, alla loro storia e agli autori francesi che ne hanno fatto tema di trattazione intellettuale è dedicato il libro della scrittrice Evelyne Bloch Dano Giardini di carta (Add editore, 2016). Uscito lo scorso febbraio in Italia, il volume dell’autrice francese ripercorre in maniera agile e approfondita sia la storia e gli stili di costruzione dei giardini e sia la presenza degli stessi nelle opere dei principali intellettuali transalpini come Rousseau, Sand, Stendhal, Flaubert, Balzac, Hugo, Zola, Proust, Gide, Colette, Simone de Beauvoir, Sartre per arrivare a Duras, Modiano e Bobin.
Evelyne Bloch Dano e i suoi Giardini di carta
Bloch Dano ripercorre storia e stili di costruzione dei giardini
La prima parte del libro della Bloch Dano è interamente dedicato a cenni storici sulle diverse modalità di costruzione dei giardini. Partendo dal primo di cui si ha conoscenza per via di un racconto sumero del 3000 A.C., in un territorio compreso nell’Iraq contemporaneo, l’autrice ci parla poi dei riferimenti biblici che vedono un Adamo giardiniere nell’Eden prima della cacciata (“In Paradiso non rimane nessuno. Ogni giardino conserva un po’ la nostalgia di una presenza…”) per passare successivamente a trattare dell’antica Roma dove si può incominciare a parlare di una vera e propria cultura del paesaggio: i giardini diventano il luogo preferito dei patrizi romani dove coltivare l’otium, la conversazione e la riflessione. E, ovviamente, il palcoscenico ideale per studiare manovre di carattere politico.
Il panorama cambia radicalmente dopo le invasioni barbariche e l’avvento del Medioevo, sottolinea la Bloch Dano, dove sono gli ambienti interni ai monasteri a ospitare un giardino “ibrido” tra la funzione alimentare e quella contemplativa. Ma il salto di qualità avviene durante il periodo rinascimentale. I giardini si aprono al paesaggio armonizzandosi sempre di più con lo sguardo e l’arte della prospettiva e diventando la coreografia appropriata per ospitare fontane (da ricordare qui il talento dell’italiano Tommaso Francini), statue e labirinti. Dal XVI secolo in poi, la creatività dei primi artisti del giardino ha modo di esprimersi compiutamente secondo la Bloch Dano. E tra costoro, brilla il genio del francese André Le Nôtre considerato l’inventore del giardinaggio moderno. Disegnò, progetto e costruì la reggia di Versailles per conto di Luigi XIV e diventò, per l’ideale architettonico che animava le sue creazioni, un punto di riferimento per l’Europa del XVIII secolo in quanto la sua era “una concezione globale che tiene conto delle asperità del terreno stesso, oltre che degli edifici”.
Il rapporto tra scrittori e Giardini illustrato da Evelyne Bloch Dano
Le pagine della Bloch Dano si configurano come un interessante quanto originale parallelismo tra la cultura del giardino e la letteratura dei principali autori francesi degli ultimi tre secoli. Com’è stato sottolineato da alcuni critici, si tratta di un “vagabondaggio culturale” tra scrittura e natura raccontato con una prosa raffinata ma non pedante dove elementi reali si mescolano abilmente con l’immaginario. Da questo punto di vista, il giardino appare come una sorta di custode della memoria di questi autori, scandendone i momenti fondamentali dell’esistenza e preservandone segreti ed emozioni. In fin dei conti, “che sia una semplice cornice descrittiva o intimamente legato al senso profondo del testo e alle dinamiche che lo animano, [il giardino] ci svela l’immaginario dello scrittore e la forma peculiare della sua arte”. Si parte da Jean Jacques Rousseau e dalle sue amate Le Charmettes dove il popolare autore di Il contratto sociale realizzò il suo ideale di vita rurale e dove il giardino ebbe un ruolo fondamentale all’interno della cornice della Natura intera: “Lavorare in giardino, cogliere i frutti, aiutare in casa: attività manuali che si collocano sullo stesso piano di una passeggiata o della lettura”. È poi la “scrittrice giardiniera”, George Sand, ad occupare l’attenzione della Bloch Dano. La sua produzione intellettuale è densa di metafore “verdi” specie quando paragona l‘attività di scrittrice con la passione per il giardinaggio. Lontana da Parigi, che non ama, e rifugiatasi nell’eremo di Nohant, la Sand s’interessa di botanica, entomologia e mineralogia trascorrendo gran parte delle giornate tra le sue amate piante: “Ordina alberi da frutto, supervisiona le semine e raccoglie fiori per la casa elencandone i nomi”. La passione per i fiori e l’attenzione verso il giardino tocca anche gli autori del naturalismo francese come Honorè De Balzac, Stendhal, Gustave Flaubert, Victor Hugo ed Emile Zolà in quanto molti dei loro personaggi hanno colpito “i nostri immaginari per decenni, facendo del giardino, con la sua panchina e le sue fronde ombrose, il luogo simbolo dell’amore – nel mondo e fuori”.
Anche l’asmatico Marcel Proust non riesce a non essere affascinato dai giardini. Seppur costretto a stare lontano da piante e fiori, il celebre autore di Dalla parte di Swann celebra nelle sue opere la natura e i giardini manifestando una sensibilità particolare: “Giardini immaginari, certo, ma drenati dalla memoria, irrorati dai ricordi d’infanzia, dai soggiorni presso i suoi amici,dalle passeggiate in carrozza o in auto: giardini ormai vietati, contemplati nella mente della camera chiusa in cui scrive”. E se, come la Bloch Dano mette bene in evidenza, fu André Gide lo scrittore francese che più amò i giardini (“che si tratti di un misero prato o di qualche arbusto, è lì che lo scrittore concentra anzitutto il suo sguardo”, “il giardino riunisce tutte le possibilità care ad André Gide. A metà strada tra natura e cultura, al contempo straniante e protetto, è un concentrato di bellezza e sensualità”), anche Colette ne fu toccata: “Il giardino è il luogo in cui questa complessità si esprime completamente. Nell’opera di Colette è onnipresente, come la proiezione di uno spazio interiore reale e insieme immaginario cui lei attingerà sempre per trovare ispirazione”. Vi è poi la coppia Jean-Paul Sartre e Simone De Beauvoir a interessare la penna della Bloch Dano. I due noti intellettuali frequentano il Jardin du Luxembourg a Parigi dove Jean Paul va tutti i giorni con la madre mentre per Simone è il luogo dove si manifesta la sua insofferenza per le regole della società: “Il Jardin du Luxembourg non è dunque un luogo di memoria, evocativo o nostalgico. Degli alberi, delle aiuole ferite, delle statue, delle vasche non si dice niente. È la cornice della rivelazione del [loro] rapporto con gli altri e della falsità in cui vivono. Uno scenario astratto, svuotato di ogni percezione della natura dei profumi, dei suoni”.
Marguerite Duras, al contrario, non predilige la parola giardino, troppo ristretta nella sua visione, ma la parola parco, che predilige assai di più: “In giardino si fa giardinaggio. In un parco si passeggia”. Ma questo non significa che l’autrice di Una diga sul Pacifico fosse insensibile al fascino della Natura. Al contrario, scrive la Bloch Dano, “per Marguerite Duras il parco è come la sfera di cristallo o i fondi del caffè della veggente. Permette al pensiero di raggiungere quello ‘stato di ascolto estremamente intenso dell’esterno’, quella ‘deconcentrazione’, unica condizione propizia alla scrittura”. La carrellata della Bloch Dano si conclude con due autori contemporanei come Patrick Modiano e Christian Bobin. Per il Premio Nobel per la letteratura del 2014, i giardini sono quelli aperti al pubblico, frequentati da normali cittadini a tutte le ore del giorno. Eppure sono nascosti, invisibili tanto che “il giardino modianesco si situa a metà strada tra il paesaggio reale e il ricordo – costeggiato, attraversato, rievocato, porta con sé ventate di profumi o di sogni, corregge la geometria delle vie e degli edifici. Ha a che fare con l’evanescenza del ricordo, le sue fronde mascherano la durezza di un muro, la nudità di una facciata, l’immutabilità della memoria”. Per Bobin, invece, la Natura è visibilissima. Presente in ogni pagina dei suoi libri e costantemente sotto i suoi occhi. E rimanda all’infanzia, all’età dell’ingenuità tanto che i giardini sono collegabili “ai giochi dell’innocenza, come il tè senza tè di un pomeriggio infantile sull’erba”. E, in conclusione, cosa aggiungere se non il fatto che nel giardino siamo portati a custodire i ricordi più cari e le emozioni più intense? Anche questo sottolinea la Bloch Dano perché “ogni giardino, per quanto modesto, ci dà informazioni sui sogni, sull’ideale di felicità, sull’utopia di chi lo crea e lo descrive, sulla società che lo genera. Il giardino è un ponte prodotto dall’immaginario ed è anche per questo che ha un ruolo importante nel romanzo”.