Duccio Forzano definisce così la sua ultima creatura: “La mia #Celerentola è una favola green”. E’ partita in sordina su YouTube il 31 gennaio scorso, la prima puntata di “celeRentola“, web serie pensata da Duccio Forzano con la collaborazione di Valentina Stangherlin (sua moglie, ndr) e di Celestina Pistillo.
Duccio Forzano, certamente uno dei registi televisivi italiani più produttivi e geniali degli ultimi anni. Dopo un paio di (super) regie di Sanremo in coppia con Fabio Fazio e Luciana Litizzetto, le quattro edizioni del fortunato spettacolo “Stasera pago io” con Fiorello ed il seguitissimo “Che tempo che fa” su Rai 3, solo per citare i più famosi, ha deciso di misurarsi sul web.
“CeleRentola“, prodotta dalla Pannylane di Forzano stesso, si compone, per ora, di 12 episodi della durata di 1\3 minuti ciascuno ed è stata realizzata esclusivamente per il web. Cliccando qui potrete vedere la prima puntata on line che si intitola “Petto di Pollo”.
Ed ecco l’intervista a Duccio Forzano.
Duccio, raccontaci questa tua nuova esperienza.
Chi mi conosce non avrebbe mai pensato che io potessi fare una regia del genere. Le persone mi hanno sempre visto come quello che realizza i grandi show, ma in realtà la mia più grande aspirazione è sempre stata quella di poter “raccontare” e il modo di raccontare del web mi affascina. Diciamo pure che sono una persona molto curiosa e che mi piacciono le sfide.
Qual è il lavoro che hai fatto che ti ha più appassionato?
In realtà tutti e nessuno perché quando studio e lavoro ad un progetto mi sembra quello più bello, dopo quando è finito è finito e si passa ad un altro. Quindi, direi che sono affezionato a tutti. Poi, naturalmente, ci sono quei lavori che ti appartengono e ti caratterizzano perché hanno dato una svolta alla tua vita: che so… il mio primo concerto come regista, quello di Claudio Baglioni e debbo dire che devo tantissimo a Claudio perché mi ha dato fiducia… in fondo poteva essere un mezzo disastro e invece è andata bene ed è stato davvero fondamentale. Certo, rivederlo dopo più di 15 anni, ecco, ora ci trovo dentro un sacco di errori che non ripeterei. Comunque ho messo lì tutto me stesso ed anche per questo ci sono affezionato. E’ stato uno step importante. Tanto importante quanto il videoclip ufficiale, che vedo e rivedo qui in studio perché è incluso in una istallazione video dove passano molti dei lavori che ho fatto.
Hai un sogno nel cassetto, un progetto che ti piacerebbe tanto fare?
Esiste certo. Ma non è tanto l’importanza del progetto in sé perché magari si tratta di un evento mediatico (come potrebbe essere San Remo per esempio). In realtà quello che mi piace fare lo faccio già e quindi, per praticità, posso dire che vorrei raccontare con la “R” maiuscola e mi piacerebbe che questi racconti venissero fuori e che fossero ascoltati e che magari da questi potesse nascesse qualcos’altro e altro ancora, idee, opportunità. E’ uno dei motivi per i quali lavoro soprattutto con persone giovani, perché credo che il mondo sia dei giovani – magari è banale ma è così – e, quindi, chi, come me, ha superato i 50 anni, per stare al passo ha bisogno di confrontarsi continuamente con i giovani: loro donano a te la conoscenza del nuovo e io dono loro esperienza. Questo è quello che mi piace davvero.
Se non facessi il regista cosa faresti?
Io ho fatto veramente di tutto nella vita, ma tutto davvero: il carrozziere, il barista, il cameriere, il marmista.
Prima di diventare un regista noto mi sono gettato in ogni impresa anche perché la mia era una famiglia povera e non avevo scelta, ma la mia esigenza è sempre stata quella di “raccontare”, anche se non sapevo come farlo e non ne avevo il mezzo. Ho provato a disegnare, a fare fumetti, a cantare, a suonare, a fotografare. Sin da piccolissimo sentivo questa necessità: ricordo che nella macchina fotografica Polaroid di casa c’era un rullino e mi divertiva tantissimo andare in giro a fotografare. Ne scattai tantissime ma il rullino finì e mia madre mi disse: “Basta ora! Non ci sono più rullini!”
Quindi già da bambino, in fondo, avevi le idee chiare o, meglio, delle intuizioni su quello che avresti poi realizzato nel futuro.
Sì, ma il problema era il mezzo e per motivi familiari, per molti anni a venire, ho dovuto sopravvivere e per farlo mi sono messo a suonare e a cantare: così ho messo su una band pur non avendo studiato musica (da autodidatta suonavo la batteria). Alla fine ho vinto uno dei talent più famosi della storia dell’umanità (sorride, ndr). In realtà i talent allora ancora non esistevano, ma Rita Pavone e Teddy Reno l’hanno inventato! Era un programma che si chiamava “Il Talentiere”, dal quale è uscito anche Fabio Fazio.
Insomma, per farla breve, era il 1982 e avevo 22 anni, ho vinto questa gara insieme alla mia band e ne ho anche recuperato le immagini perché la finale fu trasmessa in diretta da un network lombardo che si chiama “Antenna 3 Lombardia” e, pensa il destino, la regia era di Beppe Recchia e l’assistente alla regia era Paolo Beldì e io lì cantavo.
Anche quando tutto sembra folle e sei criticato aspramente se dai retta alla tua voce interna, se la ascolti, stai pur certo che da qualche parte, è sicuro, arrivi. Quella è una parte di te che sai che è lì, ma non sai com’è, non la conosci, la percepisci ma non la comprendi in pieno. L’intuizione e l’incoscienza certo, sono fondamentali. Ce ne sono parecchi di questi mattoncini da mettere insieme per arrivare da qualche parte. E’ difficile sì, ma non impossibile.
Quando parlo con i ragazzi che lavorano con me, dico sempre che non voglio fare il padre, il paternalista e non voglio nemmeno dare consigli, perché ho odiato i consigli che mi dava mio padre, non li accettavo. Mi davano fastidio, quindi non voglio fare la stessa cose con i ragazzi, né con le mie figlie. Ovviamente solo oggi capisco le sue parole, a distanza di 40 anni, ma allora era impossibile. Quello che cerco di trasmettere è che se davvero credi in una cosa, non puoi non riuscire, non può in nessun modo essere un fallimento. Dare ascolto alla propria voce e credere in se stessi è la chiave di tutto.
Hai mai avuto paura?
Ho paura tutti i giorni. Ma la combatto ignorandola, nel senso che mi concentro su un un obiettivo e mi dedico a quello. Alle cose che ti mettono paura, le cose più banali o quelle più importanti, cerco di non pensare, perché si sa, se deve succedere qualcosa, quel qualcosa prima o poi arriva e così ci penso quando arriverà.
A questo punto della tua carriera ti senti una persona realizzata?
No, direi proprio di no. Se ti senti realizzato sei morto, è come dire che non hai più niente da chiedere a te stesso.
Andare avanti, sperimentare, mettersi alla prova. Questo è importante. Mi è sempre piaciuto sperimentare cose nuove e per fare questo bisogna sempre ripartire sempre da zero.
A 37 anni, ricordo, quando ho cominciato a fare il regista stavo sotto zero. Io ho cominciato da lì. A 37 anni. E’ stato proprio come ricominciare. Si fa tanta fatica a farsi strada, poi, paradossalmente, man mano che vai avanti cambiano anche gli avversari. Quando sei uno sconosciuto hai sempre a che fare con gente bravissima. Man mano che “sali” questa gente non c’è più, ma cambia e ti accorgi che la maggior parte di quelli che incontri è incompetente, non rischia mai nulla, non propone nulla di nuovo anche se dirige uno staff. Ricordo che, tra i 32 e i 36 anni, ho lavorato con un regista che mi faceva uscire dalla sala di montaggio quando lavorava sugli effetti video. Allora non esisteva il digitale e lui aveva questa capacità magica di fare in modo che i suoi video avessero sempre un sapore cinematografico e io stavo fuori ad aspettare, ma poi quando lui non c’era mi mettevo alle macchine e cercavo di capire. Era una di quelle persone che credono alla storia “se lui impara mi ruba il lavoro”, ma è sbagliato. A me interessa molto invece insegnare e non credo affatto che sia possibile ripetersi, ognuno è una realtà a sé. Non c’è mai una persona uguale all’altra. Siamo tutti diversi, per fortuna. In ogni modo è altrettanto importante cercare di mantenere sempre un po’ di umiltà per progredire: mi è capitato anche di avere un allievo (se così si può chiamare), che dopo un primo step si è montato la testa e ha continuato da solo. Ma inevitabilmente questa spinta, questa forza che io gli ho dato è finita e lui è ritornato ad essere quello che era. Qualcuno invece lavora ancora con me e mi segue.
Ci racconti di #Celerentola?
“Celerentola” è un personaggio inventato, è la vita quotidiana vista attraverso gli occhi di una ragazza laureata in agraria, in cerca di un lavoro adeguato alla sua preparazione che, ovviamente, non trova e quindi è costretta ad arrangiarsi, a fare lavori saltuari.
E’ l’esigenza di raccontare una realtà che tutti hanno sotto gli occhi, ma alla quale nessuno fa caso.
Tutto è nato per caso: ho conosciuto Celestina (Pistillo – coautrice di Cenerentola – ndr) in Rai durante il mio primo San Remo – quello del 2010; siamo diventati amici e di conseguenza anche amici su Facebook, così ogni tanto mi appariva un suo status sempre molto accattivante e divertente. Ne vedo uno, due, tre e così un giorno la incontro (circa un anno fa) e le dico: “Dai Celestina perché non facciamo qualcosa insieme?” e lei, “ma certo!”. Poi ho capito che pensava scherzassi.
Quindi, si può dire che questo progetto nasce proprio su Facebook?
Esatto. E’ stato proprio il profilo di Celestina Pistillo a ispirare tutta la storia. Per farla breve quest’estate, appena tornati dalle vacanze, insieme a Valentina, mia moglie, e Celestina, abbiamo iniziato a lavorare sulle sceneggiature della serie. E così l’ho prodotta e girata: è perfetta per il web. Abbiamo girato tutto con le fotocamere della Nikon e anche sperimentato qualche nuova tecnica.
È un lavoro molto stimolante, il team tecnico è di grande qualità, veramente grande e l’attrice che abbiamo scelto, Beatrice Arnera, è una bomba. E’ giovanissima ha 19 anni e talento da vendere. E’ una ragazza molto carina, una ragazza normale, che ha certamente un futuro.
Quali sono i risultati che vorresti ottenere?
Quando arriverà qualcuno che dirà “ah bellissimo!”, ne facciamo 800 puntate, qui ci sono i soldi. Sarei contento del risultato e tutti questi ragazzi giovani che lavorano per me avranno un lavoro. Questo è quello che davvero desidero.