Il 23 gennaio 1910 nei pressi di Liverchies, un piccolo borgo nelle vicinanze della città di Charleroi, in Belgio nasce un uomo destinato a cambiare la prospettiva del jazz europeo.
A dodici anni suona di dio…
Tutto inizia in un carrozzone di un gruppo di nomadi viaggianti del nord, commedianti e musicisti vagabondi. Qui vede la luce un bambino. Sua madre si chiama Laurence Reinhardt ed è un’acrobata dalla pelle così scura che nell’ambiente viene chiamata “la negra”. Il padre si chiama Jean Vées, anche lui è un acrobata ma alterna le acrobazie all’intrattenimento musicale degli spettatori con il violino e la chitarra. Laurence accetta il figlio ma non vuole saperne d’unirsi al padre in modo definitivo. Quasi come a trovare una mediazione al figlio si dà il nome del padre e il cognome della madre. Viene così registrato all’anagrafe come Reinhardt Jean anche il nome prestatogli dal padre verrà rapidamente dimenticato e sostituito da quello di Django. I primi anni di vita li passa vagabondando al seguito della madre, impegnata a tenere se stessa e suo figlio fuori dai rischi di una comunità “civile” che nel frattempo ha trovato modo di scannarsi in quella che verrà chiamata la Prima Guerra Mondiale. Nel 1918 torna a Parigi. Django ha otto anni e alla scuola preferisce i vagabondaggi in compagnia dei monelli del posto. Non imparerà mai né a leggere né a scrivere, in compenso è un talento con la musica. A dodici anni suona da dio la chitarra e il banjo e a partire dal 1913 lavora nelle balere con alcuni dei più importanti fisarmonicisti dell’epoca.
L’incontro con il jazz
Nel 1928 all’Abbaye de Thélème, un locale in Place Pigalle, ascolta per la prima volta dall’orchestra di Billy Arnold i nuovi ritmi che arrivano dall’altra parte dell’oceano e ne resta affascinato. Il 2 novembre di quello stesso anno la sua roulotte prende fuoco ed egli, intrappolato per qualche minuto tra le fiamme, rimane gravemente ustionato a una gamba e alla mano sinistra. Incurante del rischio di cancrena rifiuta l’amputazione. La sua fibra lo aiuta a guarire ma la sua vita sembra destinata a cambiare per sempre visto che perde l’uso di mignolo e anulare della mano sinistra, atrofizzate. Lui però non s’arrende e già nella lunga convalescenza mette a punto una tecnica che gli consente di suonare soltanto con due dita rivoluzionando la stessa storia dello strumento. Poco tempo dopo viene ingaggiato da Stephen Mougin, uno dei primi jazzisti francesi, che lo inizia ai misteri della ‘nuova musica americana’. È l’inizio di una straordinaria carriera che ha la sua prima tappa nella nascita del Quintette du Hot Club de France. La chitarra di Reinhardt frantuma progressivamente ogni tipo di convenzione contribuendo a liberare il jazz europeo dalle regole antiche figlie di una evidente sudditanza nei confronti degli Stati Uniti. La rivoluzione musicale di Reinhardt cambia il destino stesso del jazz europeo. Se in America è stata strumento di riscatto dei neri, nel vecchio continente con la chitarra e la genialità di Django diventa espressione di un altro popolo emarginato e invisibile come quello degli zingari. Il primo a capirlo è Eric Hobsbawm che nel 1959 scrive «è significativo che Reinhardt sia finora il solo europeo che abbia conquistato un posto nell’Olimpo del jazz… ed è significativo che si tratti di uno zingaro».