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Dinah Washington, così muore una regina

La sera del 14 dicembre 1963 la cantante Dinah Washington è nella sua casa di Detroit. È tesa, stanca e terrorizzata all’idea di passare un’altra notte insonne con gli occhi sbarrati a guardare il soffitto aspettando che arrivi l’alba. Odia questa insonnia che la perseguita. Sta per iniziare una nuova tournée e, proprio per questo, si è sottoposta a una cura dimagrante che l’ha stroncata psicologicamente e fisicamente. Da un po’ di tempo, però, ha trovato un modo efficace per combattere l’ansia: una buona dose di alcolici e un potente sonnifero. Un suo amico medico l’ha messa in guardia contro questa mistura, ma lei si è accorta che la fa dormire meglio. Anche questa volta segue il suo metodo, ma è l’ultima.

Nessun risveglio

S’addormenta e non si sveglia più. Muore così, a trentanove anni, quella che è stata chiamata la Regina del rhythm & blues, l’artista che con Bessie Smith, Billie Holiday ed Esther Philips è considerata una delle quattro stelle più brillanti di quella catena immaginaria che congiunge jazz e blues. Nata, il 29 agosto 1924 a Tuscaloosa, in Alabama, dove viene registrata all’anagrafe con il nome di Ruth Jones, si trasferisce ancora bambina a Chicago con la famiglia. Le sue prime esperienze musicali hanno per sfondo gli interni della chiesa anabattista St. Luke, del South Side della sua città dove suona il pianoforte e canta nel coro gospel. Ben presto la sua attività si allarga al di fuori del quartiere.

La prima scrittura a sedici anni

Non ha ancora compiuto sedici anni quando viene scritturata dalla grande cantante gospel Sallie Martin che la inserisce nel suo quartetto, il primo gruppo interamente femminile della storia del gospel. Nel 1943 Joe Glaser la ascolta al Garrick’s Bar di Chicago e la presenta a Lionel Hampton che la vuole nella sua orchestra. Da quel momento abbandona il suo vero nome e diventa Dinah Washington. Tre anni dopo lascia Hampton e inizia a muoversi da sola. Scritturata dalla Apollo pubblica i primi dischi di rhythm and blues. Il grande successo arriva, però, nel 1948, quando passa alla Mercury e pubblica una versione di West side baby che fa gridare al miracolo la critica. All’inizio degli anni Sessanta rinnova il repertorio e forma un duo di successo con Brook Benton. Alle soddisfazioni artistiche fa da contraltare una vita privata costellata da delusioni e problemi. Con sette matrimoni alla spalle e un difficile rapporto con i discografici, alla fine del 1962 è quasi tentata di lasciar perdere tutto. Ci ripensa nell’estate del 1963. Si prepara con cura al ritorno sulle scene, riprende a provare in sala e in palcoscenico, ma la tensione dell’attesa la soffoca. Tutto finisce proprio la sera del 14 dicembre con l’aiuto dell’alcool e dei sonniferi.

 

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