Leggo nei comunicati stampa di “Più libri più liberi”, la fiera che da più di vent’anni ospita e rappresenta la cultura del linguaggio, che nella sua eterogeneità, la piccola e media editoria non è (forse) mai stata così forte sul mercato italiano come in questi anni.
Crescendo e ramificando il suo programma, le connessioni con gli attigui mondi della cultura, dell’informazione e dell’intrattenimento, alimenta il dibattito ed il confronto sociale, confermandosi di anno in anno come luogo d’incontro, di discussione e di aggiornamento professionale. Quest’anno la fiera fa un passo ulteriore, seguendo una direttrice di sviluppo che da tempo ha iniziato ad esplorare: quella internazionale. Così “Più libri più liberi” 2022 è divenuta il punto d’incontro tra l’editoria italiana e due tra le principali editorie europee, rappresentate a Roma da Juergen Boos, presidente e CEO della Fiera del Libro di Francoforte, e da Jean-Baptiste Passè, direttore del Festival del libro di Parigi.
La rivoluzione informatica, come accesso democratico all’informazione, (in parte alla cultura più o meno manipolata o resa innocua e soprattutto spalmata sulla superficie di un organismo proteiforme come il web) è stata preparata dalla diffusione dei libri, tascabili o a puntate per tutti, che dagli anni sessanta aveva avviato una emancipazione delle masse attraverso la lettura, soprattutto dei giovani, i nuovi scolarizzati del dopoguerra, innescando una presa di coscienza collettiva. I giovani di adesso però, ma anche i meno giovani, sono affascinati dall’illusione di viaggiare più velocemente possibile. Si tratta spesso però di un viaggiare in orizzontale ed i collegamenti sono numerosi, ma spesso vani per definire una ricerca di una struttura di senso che non sia semplicemente emotiva. Letture e scritture si sono parcellizzate in frasi, l’attenzione si è accomodata su tempi pericolosamente brevi, si può addirittura soffrire di nomofobia (la paura incontrollata di rimanere sconnessi dal contatto con la rete di telefonia mobile).
Qualcuno addirittura auspica o prevede una mutazione genetica, tenendo conto della scoperta dello scienziato Michael Merzenich che ha dimostrato la neuro-plasticità del nostro cervello anche in età adulta, ma non necessariamente nel senso di sua trasformazione in effettiva facoltà multitasking (ovvero multiprocessualità, cioè un sistema operativo che, in informatica, permette di eseguire più programmi contemporaneamente). Sappiamo invece che occuparsi di due o più compiti simultaneamente può compromettere la qualità delle prestazioni cerebrali, in quanto la concentrazione non può saltare da un argomento all’altro senza impiegare ogni volta circa 20 minuti per funzionare …
Oggi la quota di mercato degli editori che totalizzano fino a 15 milioni di venduto è pari a circa il 40%. Ci sono editori medi, dotati di strutture capaci di reggere l’urto di un mercato con marginalità molto basse. Concentrati sulla narrativa in alcuni casi, forse i più noti al pubblico generalista, ma più spesso sono a caccia di nicchie o segmenti di mercato, meno battuti dai grandi gruppi, comunque sempre affacciati sul digitale come opportunità da una parte e sfida dall’altra, che richiedono investimenti non facili da mettere in campo.
Allo stesso tempo, sotto l’ombrello dei piccoli e medi editori convivono realtà molto differenti, anche micro realtà che richiedono, per sopravvivere, uno sforzo ulteriore di ricerca, comprensione e coraggio.
Il testo è a cura di Valentina Presti Danisi, ma la cosa che mi ha particolarmente colpito è quella del passaggio di consegne attraverso questo volumetto dalle “Gorilla Sapiens Edizioni” http://www.gorillasapiensedizioni.com/ che ha chiuso i battenti in questo modo coraggioso e poetico – Cessa l’attività. Si estingue. La fa finita. Se la dà a gambe. Si ritira a vita privata. Viene meno. Viene a mancare. Si fa da parte. Chiude i battenti. Chiude baracca. Alza le chiappe. Abbandona il campo. Depone le armi. Ripiega. Giveuppa. Si allontana all’orizzonte. Liquida tutto. Si arena. Tira i remi in barca. Affonda con la nave. Cola a picco. Le case editrici incustodite verranno fatte brillare. Non è più visibile a occhio nudo. Fa spazio al nuovo che avanza. Ubi major, gorilla cessat. Ai mondiali di finanza in apnea si è classificata ultima. Gli studi di settore la danno non pervenuta. Secondo il commercialista è una “saggia decisione”. Si disattiva. Giunge a termine. Ha gettato il cuore oltre l’ostacolo. Pessima mira. Ha fatto i salti mortali, e in effetti è morta. Ha consumato i suoi giorni. Svuota i fusti. Interrompe il discorso. Chiude il becco. Scrive la parola fine. È carta passata. Il network non ha rinnovato la serie. L’utente chiamato non è al momento disponibile. È finita fuori corso. Ora è fatta della stessa sostanza dei sogni. Volta pagina. Assume un nuovo significato. Continua …
… alla riedizione a cura di SuiGeneris, una casa editrice indipendente, collegata all’Università di Torino, che investe sui nuovi autori, sulla letteratura d’avanguardia, sulla filosofia, sul teatro, sull’umorismo e la satira. Campeggia la scritta sul sito – http://edizionisuigeneris.it/ – Tutte le case editrici felici si somigliano. Ogni casa editrice indipendente è infelice a modo suo.
Confortante l’opinione (che condivido) dell’articolista citato in Novecento Letterario – – http://www.900letterario.it/pensieri-frammenti/salone-libro-torino-2016/
- (…) piccoli e medi editori, che io ho definito “gli entusiasti”. I loro stand erano affollati di persone, ma anche nei momenti di stanca ci pensavano gli espositori a richiamare il pubblico, mostrando sorrisi e professionalità, ma anche dimostrando di conoscere il catalogo e di credere nella propria missione. Personalmente ho acquistato libri da NN e da Neo edizioni, tuttavia mi sono ritrovato a mostrare interesse anche per case che prima non conoscevo, come la già menzionata Istos o la neonata SuiGeneris, quest’ultima gestita in modo eccellente da ragazzi dai 20 ai 30 anni. (…) considero queste case editrici il vero e proprio propellente dell’editoria italiana, in grado di incontrare l’apprezzamento del pubblico pur mantenendo la propria identità (sia in termini estetici che di contenuti) e anzi puntando proprio su questa identità per imporre nuovi standard.