Il 6 ottobre del 2000, l’anno del Giubileo, esce Dalla terra, un album nel quale Mina si cimenta in dodici brani che affondano le loro radici nella musica sacra della tradizione cattolica.
Non è un’operazione commerciale
La cantante nega una correlazione diretta con l’evento ma l’impianto d’immagine che accompagna la nascita del nuovo disco sembra funzionale a una normalissima operazione d’aggancio all’anno giubilare. Per quel che riguarda le collaborazioni è da notare la consulenza del teologo Luigi Nava e di quella del direttore della Schola Gregoriana del Duomo di Cremona, Massimo Lattanti. A loro va aggiunto l’apporto compositivo di Monsignor Frisina, il compositore delle musiche per le messe del Papa, in un paio di brani tra cui il Magnificat che apre la raccolta. I “cattivi pensieri” di una scontata operazione commerciale reggono, però, fino a quando si ascolta il disco. Fin dalle prime note, infatti, ci si accorge che Mina ha fatto proprio i brani fino a trasformarli. I canti sacri emergono con una forza tutta pagana, con una vitalità che pare derivare la sua energia più dalle musiche diaboliche come il jazz e il blues che dalla asessuata e monocorde tradizione cattolica. C’è un apporto personale della cantante che si nota. Mina non se ne sta sullo sfondo, ma riempie di passione musiche nate per esaltare la spiritualità distaccata. Certamente non si tratta di un album in linea con la precedente produzione della cantante anche se bisogna ricordare che nel 1980 l’album Kyrie Mina conteneva già una singolare versione dell’Aria di chiesa di Antonio Stradella.
Una rilettura in chiave pagana
C’è una rilettura del tutto personale della tradizione cattolica con caratteristiche decisamente pagane. Come si potrebbe definire altrimenti una versione dell’Ave Maria di Gounod in tempo leggero quasi fosse uno standard jazzato? La cantante, accompagnata da un’orchestra sinfonica diretta dal fedele Gianni Ferrio piega la struttura originaria dei brani alle proprie esigenze interpretative. Rispetto al passato più recente scompaiono gli abbellimenti estetici e vengono sostituiti da un rigore interpretativo che non toglie, però, anima e passione alla partecipazione emotiva. Fin dal Magnificat che apre il disco si capisce che Mina parla di religiosità al femminile. Al centro del suo interesse e della forza evocativa dei brani c’è la donna, cioè quel soggetto che dalla Chiesa Cattolica è da sempre marginalizzato e ridotto nel suo apporto al disegno ecclesiale. Nei brani si coglie non tanto l’asettica e distaccata percezione del rapporto con Dio quanto la forza decisamente carnale di una passione religiosa al femminile vissuta attraverso i temi della maternità e del dolore causato dalla perdita del figlio. Sono impressioni forti che non emergono solo dai brani più direttamente collegati alla tematica come il Magnificat o il Pianto della Madonna di Monteverdi, ma traspaiono anche nel caso di puri brani gregoriani come Veni creator spiritus, che acquista un calore sconosciuto dall’incontro con la voce di Mina. Quasi a dare più peso alla sua libertà di scelta per Quanno nascette Ninno, il canto seicentesco in dialetto napoletano di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, antesignano del natalizio Tu scendi dalle stelle, si avvale nientemeno che della collaborazione decisamente poco angelica di un chitarrista come Andrea Braido, vecchio compagno d’avventura di Vasco Rossi e altre rockstar italiane.