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Crimini ambientali e conflitti armati: una realtà accertata

Crimini ambientali e conflitti armati: una realtà accertata

Secondo un report delle Nazioni Unite i gruppi ribelli che guidano conflitti in molti paesi del mondo si finanziano attraverso il depauperamento della flora e della fauna. La UNEA (United Nations Environment Assembly) ha pubblicato un report dell’UNEP (United Nations Environment Programme) e dell’Interpol dal titolo emblematico: “La crisi dei crimini ambientali: minacce allo sviluppo sostenibile dallo sfruttamento illegale e dal commercio di specie selvatiche e risorse forestali”.

Secondo questo report i crimini ambientali non sono più una questione emergente, bensì una realtà affermata che ha un giro di affari di circa 213 miliardi di dollari all’anno; cifra che fa ancor più paura se comparata a quella destinata nel 2013 agli aiuti allo sviluppo: circa 135 miliardi di dollari. Se la comparazione fra queste due cifre non dovesse bastare ad esplicitare come i crimini ambientali minaccino lo sviluppo sostenibile in molti paesi del mondo, il report mette in guardia la comunità internazionale da come molti gruppi armati ribelli traggano un enorme profitto dallo sfruttamento illegale delle risorse naturali e dal commercio di specie selvatiche (molte delle quali a rischio estinzione): non solo dunque un danno economico ed ambientale per i paesi in via di sviluppo ma anche una minaccia alla loro sicurezza e stabilità.

Crimini ambientali: il commercio illegale di specie selvatiche e lo sfruttamento delle foreste

Il report concentra la sua attenzione in particolar modo su due tipi di crimini ambientali: il commercio illegale di specie selvatiche e lo sfruttamento illegale delle foreste. Per ciò che concerne il primo aspetto parliamo di un commercio con un giro d’affari di circa 23 miliardi di dollari all’anno che coinvolge una varietà di specie che vanno dagli insetti ai rettili, dagli anfibi ai pesci ed ai mammiferi, dagli esemplari vivi a quelli morti, includendo anche prodotti che sono derivati dagli esemplari stessi.

Essi o i loro prodotti derivati sono usati, in particolar modo nel Nord del mondo, per scopi farmaceutici, puramente ornamentali, per necessità legate alla medicina tradizionale o semplicemente per avere un animale domestico tropicale da poter sfoggiare.

Passando ai crimini forestali, come il disboscamento illegale, il report sottolinea come il giro di affari di circa 100 miliardi di dollari annui che ne consegue costituisca il 30% del totale del commercio di legname a livello globale. I crimini forestali sembrano assumere principalmente quattro forme: lo sfruttamento illegale di legname pregiato ed a rischio (come il palissandro ed il mogano); il disboscamento illegale per segatura, materiale edile e forniture; il diboscamento ed il “riciclaggio” illegale di legname attraverso piantagioni e compagnie agricole allo scopo di fornire l’industria della carta di pasta di legno.

Chi ne trae profitto?

I parchi naturali, le zone chiave per la biodiversità ed altri habitat vulnerabili sono in crescente pericolo a causa di bracconieri e contrabbandieri che spesso fanno parte di milizie o altri gruppi armati non statali che ricavano ingenti fondi da questo commercio illegale: avorio dagli elefanti, corni di rinoceronte, pelli di tigre, shahtoosh (lana ricavata da antilopi tibetane o Chiru) e legname pregiato. I Janjaweed sudanesi e la Lord’s Resistance Army (LRA) ugandese cacciano elefanti in tutta l’Africa Centrale e nei paesi confinanti.

Dozzine di gruppi armati uccidono elefanti ed ippopotami, prelevano legname e producono o tassano il carbone di legna per finanziare il conflitto in Repubblica Democratica del Congo e nei paesi confinanti. La Mozambican National Resistance (RENAMO) è stata accusata di cacciare illegalmente elefanti e rinoceronti per finanziare la loro nuova insorgenza. Secondo il report anche la somala Al-Shabaab ha come principale metodo di finanziamento il commercio e la tassazione illegale di carbone di legna, effettuato ai posti di blocco e ai porti controllati dai miliziani. In Asia la situazione non è migliore: i gruppi locali affiliati ad Al Qaeda in Bangladesh ed altre milizie tribali in India sono coinvolte nel commercio illegale di avorio, pelli di tigre e corni di rinoceronte che si sviluppa nel Sud-Est asiatico.

Conclusioni

Le conseguenze dei crimini ambientali coinvolgono aspetti ambientali, economici e sociali, inclusa la sicurezza e la stabilità, e derubano le comunità locali e le nazioni nella loro interezza di risorse e capitale naturale.

Tali crimini costituiscono dunque una barriera allo sviluppo sostenibile che coinvolge una complessa combinazione di governi deboli, commerci senza regole, riciclaggio in attività legali e controlli farraginosi che minano le istituzioni governative ed i business legittimi.

Per questo, secondo il report, spetta alle Nazioni Unite e alle altre organizzazioni internazionali, ai governi locali e alle forze di polizia cambiare passo nella direzione di una maggiore consapevolezza del legame fra crimine ambientale e finanziamento dei gruppi armati ribelli e di un rafforzamento dell’azione a tutela dell’ambiente.

D’altronde non ci sono solo cattive notizie: nel 2012 la deforestazione nella Foresta Amazzonica brasiliana ha raggiunto il suo minimo storico con un calo del 78% rispetto al 1988. Questo a dimostrazione che l’azione combinata della comunità internazionale, dei governi e delle forze di polizia può davvero fare la differenza.

Per chi voglia approfondire

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